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MATERA – Quella torre che spunta a pochi metri in linea d’aria dalla chiesa della Madonna delle Vergini non piace a nessuno. L’inceneritore della Italcementi continua a preoccupare, spaventare gran parte della comunità materana che si è riunita in un Comitato.
All’orizzonte ci sono le richieste di Aia e Via (Autorizzazione Integrata Ambientale e Valutazione di Impatto ambientale) presentate alla Regione il 17 maggio 2013 per quintuplicare le quantità di materiale da bruciare all’interno dello stabilimento di contrada Trasanello, da 12 mila a 60 mila tonnellate.
Per farsi sentire, i componenti del Comitato No Inceneritore a Matera, hanno esposto i loro striscioni il 2 luglio nella giornata clou della festa in onore della Bruna, allo stadio XXI settembre in occasione della partita decisiva del Matera per l’ingresso in serie C, nel maggio scorso.
Con il tempo la consapevolezza dei cittadini, il forte no a mettere a rischio la salute di grandi e bambini, si è espanso a macchia d’olio.
«La scelta di sostituire il materiale misto da bruciare con il Css come hanno chiesto – spiega Francesco Filippetti – risponde a una filiera del ciclo produttivo che l’azienda sta perseguendo. Dopo la richiesta dell’Aia, è stato inaugurato un impianto a Senise che produce css, e dovrebbe garantire 54 posti di lavoro. La capacità termica dell’impianto di 100 mila tonnellate – prosegue Filippetti – supera di un terzo il bisogno di Matera e provincia». Sotto il profilo sanitario, il pericolo di ricadute negative, secondo Filippetti, è concreto: «In realtà una delle ragioni che motiverebbero la concessione dell’Aia è l’abbattimento delle emissioni. Questo, però, è un dato molto discusso. Penso al caso della recente inaugurazione, alla presenza del premier Renzi, dello stabilimento Italcementi di Brescia che promette l’abbattimento del 70% delle emissioni.
A Matera – precisa Filippetti – i dati dimostrano che su alcuni parametri come le polveri sottili, questa riduzione non c’è. Dopo il revamping, si registra un piccolo calo, che poi però aumenta».
Il tema, però, riguarda anche i meccanismi di rilevazione dei dati.
«Queste operazioni devono essere effettuate da una autorità esterna indipendente. Allo stato attuale, per ammissione dell’assessore regionale Berlinguer in consiglio regionale, l’Arpab non è attrezzata per le rilevazioni. I controlli possono limitarsi alle polvere sottili, per quanto riguarda invece la diossina non è in grado di farlo. In questo caso si appoggia all’Arpa di Puglia su cui però sembra non ci siano certezze circa i risultati».
La pietra dello scandalo sta in un piano regionale che avrebbe dovuto essere aggiornato ma che invece è fermo. Più volte mozioni di consiglieri Perrino e Leggieri del Movimento Cinque stelle hanno sollevato il tema con riferimento alla piattaforma di Guardia Perticara e della Fenice di Melfi. Da giugno a settembre i due consiglieri hanno preteso risposte che non sono mai arrivate.
«C’è una contraddizione molto chiara: mentre la normativa europea basata sui tre principi del riciclo, riuso e riutilizzo, ha imposto agli Stati di adeguare la legge che lo hanno, a loro volta, comunicato alle Regioni. Bisognava attualizzare questi meccanismi e per quanto ci riguarda se la stanno prendendo comoda, pur essendo scaduto il termine il 19 ottobre scorso.
Dal 2006 la percentuale di differenziata avrebbe dovuto essere pari al 65% che Matera non ha ancora raggiunto. Mentre l’Europa si sta muovendo verso la differenziazione, la Basilicata al contrario sembra preferire l’indifferenziata». Per Filippetti il nodo della vicenda è prettamente economico: «Italcementi ha chiesto di aumentare le quote di Css da bruciare, perchè il piano industriale dell’azienda prevede la sostituzione dei combustibili al posto del metano – che noi, invece, avevamo proposto di usare a costo agevolato visto che lo produciamo in Basilicata – con il css composto da materiali che non si possono differenziare. Dalla moquette, ai legnami, ad altro ancora».
Secondo Filippetti, nelle pieghe ci sarebbe anche il rischio di infiltrazioni di organizzazioni malavitose interessate alla Basilicata.
Nella mozione urgente del settembre scorso Perrino e Leggieri chiedevano perchè la Basilicata non si fosse costituita parte civile dopo i casi di Monnezzopoli, scegliendo di proseguire «Nell’inerzia più totale.
In mancanza di dati ufficiali – prosegue Filippetti – bisognerebbe fare come il sindaco di Modugno Nicola Magrone, che ha interrotto ogni autorizzazione senza riferimenti dell’Arpa».
L’approvazione del decreto Sblocca Italia (che all’articolo 35 prevede che il presidente del Consiglio su proposta del ministro dell’Ambiente individua con proprio decreto gli impianti di recupero di energia e smaltimento dei rifiuti esistenti o da realizzare per attuare un sistema integrato e moderno di gestione di tali rifiuti atto a conseguire la sicurezza nazionale nell’autosufficienza e superare le procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore. Tali impianti di termotrattamento – si legge ancora – costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale ai fini della tutela della salute e dell’ambiente) liberalizza, di fatto le autorizzazioni per gli inceneritori. «Il paradosso -prosegue Filippetti – è che si faccia riferimento alla salute dei cittadini. Questo provvedimento interviene come una mannaia su tutte le richieste in corso».
a.ciervo@luedi.it
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