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Vi ricordate quando hanno hackerato l’account Twitter di Papa Francesco? Alla fine si scoprì che si trattava di un militante islamico algerino che voleva sensibilizzare il mondo alla causa palestinese. Quale miglior modo se non prendere il profilo del capo delal cristianità ed impossessarsene per un pomeriggio postando frasi che inneggiano ad Allah e all’antisionismo.
Un caso particolare, certo, ma che accade praticamente tutti i giorni nell’infinito mondo dei social network. perché con le pagine ci si può fare anche un bel po’ di soldi, a volte.
Capita a tutti e capita anche a Marcello Pittella. Il governatore scrive un post sullo Sblocca Italia, qualcuno risponde e, orrore, ecco la risposta del governatore: «la Ferrovia ci distrarrà dalle estrazioni e dai tumori. Se non l’avessimo fatta ci saremmo potuti invece concentrare sul tema». Tutto questo mentre poco sopra qualcuno scriveva: «Le tratte regionali hanno competenza regionale, tutto fumo negli occhi per distrarre da estrazioni, inquinamento e tumori.
Apriti cielo: le truppe a 5 Stelle fanno girare ovunque questo post, si aprono discussioni fiume, catene di insulti contro il Pittella regionale. Insulti che, oltretutto, raccoglie quotidianamente sotto i suoi post pubblici sulla bacheca di facebook.
Il tempo di far bollire a 100 gradi la rete ed ecco la pronta replica del governatore, o meglio dello staff che per 86mila euro lavora come spin off ad affidamento diretto gestisce la comunicazione del presidente: «Mi dicono – si legge – per telefono e online che sul mio profilo risultano commenti che vanno in direzione opposta al mio sentire e che offendono le sensibilità dei lucani.
Ovviamente non ne sono l’autore e sto accertando, anche con gli organi competenti, eventuali responsabilità di chi possa essersi introdotto nella mia pagina. Questi episodi, non solo non rappresentano il mio agire, lo dico ai responsabili, ma ledono gravemente la mia immagine e non fanno altro che alimentare divisioni e polemiche dannose alla nostra regione, su un tema così delicato per le nostre comunità.
È vergognoso, un atteggiamento antidemocratico».
Fake? Hacker? Ci dobbiamo davvero credere? Dobbiamo credere sul serio ad un oscuro personaggio che avrebbe “rubato” la password al governatore della Basilicata soltanto per un solo e semplice commento? Ore di lavoro, forse anche giorni per recuperare una password o diventare amministratore e tutto quello che si riesce a fare è un misero post di risposta ad una conversazione pubblica? Praticamente improbabile. Entrare nei profili Facebook non è cosa semplice: esistono diverse strade, come quella di recuperare la password attraverso programmi specifici che leggono le digitazioni delal tastiera per poi inviarle via mai al “pirata”, oppure utilizzare una falsa procedura di verifica del profilo per diventare amministratore della pagina.
In tutti e due i casi ci vuole tempo, e una volta ottenuto quel che si vuole, difficilmente si sceglie di non lasciare il segno sul serio, magari “trasformando” l’account e rendendolo quasi un gioco (come nel caso del Papa).
In più, e lo si è visto nelle famose dirette web del governatore, non sono poche le persone che hanno diretto accesso al suo profilo. Questo può vuol dire due cose, o la password è stata rubata da lì, magari usando un cellulare incustodito, oppure qualcuno dello staff ha voluto giocargli un brutto scherzo di Halloween. Certo è che con uno come Nino Grasso come portavoce, che a quanto pare sembra non saperne proprio nulla di gestione dei social anche e soprattutto per una questione d’età, ci si può aspettare di tutto. Ma forse è il caso di rivedere se qualcuno dello staff web vale davvero quegli 86mila euro pagati per raccontare di un governatore giovane, alla Matteo Renzi.
Anche perché il codice penale è chiaro all’articolo 494. Chiunque si sostituisce una persona rischia un anno di reclusione e questo vale anche per Facebook. Altro che pirati.
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