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LAGONEGRO – Gli arresti di ieri mattina hanno creato profondo sgomento in paese e un certo senso di sorpresa in tutta la comunità.Nessuno credeva che dietro gli attentati dinamitardi e i tentativi di estorsione balzati nei mesi scorsi all’onore della cronaca locale ci fossero persone del posto, ben conosciute, che passeggiavano tutte le sere nella piazza principale o si intrattenevano al bar per un aperitivo in compagnia.
I tre arrestati nella notte di martedì dagli uomini del nucleo operativo della compagnia dei Carabinieri di Lagonegro – comandati dal capitano Luigi Salvati Tanagro e coordinati dalla DDA di Potenza – erano infatti tutti del posto.
I militari hanno seguito le loro tracce per circa un anno, con un’attività investigativa discreta e costante, che alla fine ha prodotto i risultati sperati poiché a loro carico è emerso un quadro indiziario preciso e circostanziato.
L’accusa per Eugenio Torino, Biagio Ricco e Guerino Buldo è di quelle pesanti: associazione a delinquere finalizzata all’estorsione.
Dalle indagini emergerebbe un quadro dove ad essere stati taglieggiati sarebbero stati in tanti, da Bulfaro, all’azienda Labanca, alla Perruolo che si occupa di recupero di inerti fino a quella che fa capo a Francesco Piro, sotto la cui abitazione nel febbraio scorso era stata rinvenuta una bombola di gas collegata ad un detonatore.
Proprio questo avvenimento, che all’epoca aveva creato tanta preoccupazione tra la popolazione, aveva fatto alzare il livello di attenzione degli inquirenti, già insospettiti e all’erta dopo il verificarsi di tutta una serie di episodi simili, tra cui il ritrovamento a dicembre 2013 di un ordigno artigianale inesploso e collegato ad una miccia all’interno di un locale di nuova apertura immediatamente a ridosso del Palazzo di Giustizia: “La Braceria Resort”.
Anche allora si trattava di atti intimidatori, successivi alle richieste di denaro e alle minacce che evidentemente non avevano sortito effetto. Dopodiché si sarebbe passati alla violenza vera e propria sulle persone e al danneggiamento di cose, considerato che due di loro, Torino e Riccio, «sono stati arrestati con l’accusa di aver programmato e portato ad esecuzione una serie di richieste estorsive precedute o seguite da attentati, anche incendiari, ai danni di alcune imprese edili e di alcuni esercizi commerciali facenti capo a imprenditori e commercianti nel territorio di Lagonegro» – si legge nel comunicato stampa diffuso dalla Direzione Investigativa Antimafia, coadiuvata dalla Procura della Repubblica di Lagonegro. I fatti accertati sono otto in tutto consumati in un arco di tempo di un anno. Il primo è del 13 maggio 2013 quando fu data alle fiamme una beto-pompa della ditta Bulfaro spa. Un danno ingente per l’imprenditore quantificato in 200.000 mila euro. Qualche giorno dopo (il 17 maggio) in una cava ubicata nella zona di Buonabitacolo alcuni operai ritrovano un ordigno esplosivo. Colpita la “Perruolo srl” fornitore di inerti della “Bulfaro spa”. Si passa poi alle bombole di gas, come quella fatta rinvenire sotto l’abitazione dell’imprenditore Giovanni Labanca (è il 29 settembre 2013). Altri ordigni rudimentali furono ritrovati nella “Braceria” e sotto la casa di Francesco Piro (leggere box a sinistra). Nel faldone delle indagini ci sarebbero poi anche alcuni sms da contenuto inequivocabile. Come quello spedito a Vito Greco con cui lo stesso veniva “sollecitato” a pagare 7.000 euro (è il 3 aprile dello scorso anno) o quelli fatti recapitare ad Antonio Bulfano e al figlio Giuseppe in cui veniva richiesto del denaro.
Riccio e Buldo risiedevano al momento a Lagonegro, il primo occupato nella macelleria di famiglia, il secondo ufficialmente disoccupato. Torino, che pare fosse domiciliato a Rotonda, era noto alle forze dell’ordine, avendo subìto procedimenti per reati vari tra cui quello di furto aggravato.
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