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POTENZA – «Mi hanno picchiato e mi hanno detto che il posto dietro la mia scrivania spettava a loro».
Doveva restituire 100mila euro ma nel giro di pochi mesi sono diventati 160mila e a farsi carico della loro riscossione è stato il boss Renato Martorano, che non ha esitato a usare la maniere dure per farsi valere.
Lo ha raccontato ieri mattina durante il dibattimento del processo Iena 2 Quirino Guarino, vittima di un presunto episodio di usura ed estorsione da parte di Gennaro Viggiano, imprenditore di Vietri, Martorano e il suo braccio destro, l’ex boxeur Dorino Stefanutti.
Prima di lui aveva preso la parola anche il fratello, Carmine Guarino, unico degli imputati ad aver chiesto di essere interrogato, considerato a lungo un imprenditore nell’orbita del boss fino alla crisi e alle accuse che gli sono costate una condanna definitiva a 16 anni per usura ed estorsione aggravate dal metodo mafioso.
Guarino, accusato a sua volta di usura, ha ammesso di aver prestato del denaro, nell’ordine di qualche migliaio di euro alla volta, a un imprenditore, Domenico Molinari. Ma ha negato di avergli mai chiesto degli interessi né di aver fatto da intermediario tra lui e Martorano.
Interrogato dall’avvocato della Fondazione antiusura Interesse Uomo, che è costituita parte civile nel processo, Carmine Guarino ha dichiarato di aver ricevuto soldi in prestito a interessi usurai anche da Luigi Postiglione e Romeo Felitti, ma in un periodo antecedente a quello preso in considerazione dall’inchiesta. Da questo si è scatenata la dura replica dell’avvocato di Felitti, Gaetano Basile che ha denunciato il tentativo di cercare nuove notizie di reato. Un’opposizione accolta dal presidente del Tribunale Lucio Setola che ha invitato le parti ad attenersi all’ambito temporale delle contestazioni.
Diverso l’approccio con il boss descritto dal fratello Quirino, che ha spiegato di aver sempre mantenuto una certa distanza da Carmine e dai suoi “amici” fino a quando la sua compagna dell’epoca non lo avrebbe invitato a incontrarli.
A quel punto sarebbero scattate le minacce e gli schiaffi.
«Venne nel mio ufficio e mi disse che spettava a lui sedersi al mio posto e fu la cosa che più mi diede fastidio. Ho lavorato una vita e quella cosa non sono riuscito a mandarla giù».
Eppure non avrebbe trovato il coraggio di denunciare.
«Sono andato dai carabinieri e ho raccontato la situazione, a parte alcune cose che non ho detto per tutelare la mia compagna. Ma non ho voluto firmare nulla perché avevo paura con due figli minorenni. Parlarono dei pappagallini che mia moglie teneva fuori dalla finestra e ho pensato che potessero farle qualcosa».
Dopo la deposizione di Quirino Guarino l’udienza è stata rinviata a gennaio dell’anno prossimo per ascoltare i testi delle difese e raccogliere le ulteriori richieste istruttorie. Poi dovrebbero iniziare le discussioni e il processo si avvierà verso la sentenza di primo grado.
L’inchiesta Iena2 nasce nel 2000 e nel 2004 ha portato a decine di arresti a Potenza e non solo.
Al centro ci sono gli affari del clan Martorano e le sue infiltrazioni in alcuni degli appalti più ricchi in Basilicata, in particolare nella sanità.
l.amato@luedi.it
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