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Il numero di ieri in edicola de il Quotidiano della Basilicata, per come i lettori avevano imparato a conoscerlo, è stato l’ultimo ad essere stato pubblicato! Nel tredicesimo anno di vita de il Quotidiano della Basilicata cessano le pubblicazioni della testata da parte della società editrice che fa riferimento al nostro Gruppo e, soprattutto, io e la mia famiglia non ne saremo più gli Editori.
E’ con non poca tristezza che mi accingo a raccontare le motivazioni di una dolorosa decisione, certamente non riconducibile alla mia espressa volontà, né a quella della mia famiglia, ma imposta da situazioni contingenti, alcune delle quali, davvero non mi sarei mai aspettato di incrociare.
Devo subito evidenziare, però, che tutto quello che ho subito personalmente e che tanto danno mi ha creato, non mi ha fatto perdere la voglia di continuare a combattere, di volere bene al mio territorio ed ai miei collaboratori, cui intendo poter assicurare un futuro nonostante tutto.
Conservo, infatti, integro, nonostante le ingiuste e devastanti (da un punto di vista imprenditoriale e personale) vicende subite, lo spirito che mi ha portato, insieme ai miei familiari, ormai 13 anni or sono, a lanciare la sfida, delicata ed utopistica, della pubblicazione di un giornale che potesse essere una voce libera ed autorevole di informazione, nonché uno strumento di cultura, all’interno di una regione e di un territorio difficili in cui si sentiva forte l’esigenza di una iniziativa editoriale che dovesse colmare un vuoto di informazione, a tutti fin troppo evidente.
Pian piano, con l’aiuto insostituibile di Direttori autorevoli e professionalmente irreprensibili, con la professionalità, man mano cresciuta, dei giornalisti e dei collaboratori, con l’abnegazione ed il sacrificio dei dipendenti tutti, abbiamo creato una realtà editoriale davvero importante ed autorevole per i nostri territori, un punto di riferimento per tanti, una voce libera di informazione, sottratta alle logiche perverse del potente di turno; soprattutto una opportunità di lavoro per tanti giornalisti, grafici, poligrafici, amministrativi, addetti di diffusione e agenti pubblicitari, e che, senza, difficilmente avrebbero potuto crescere e vivere nella loro regione di origine, andando a incrementare il triste fenomeno dei nostri territori legato alla forte emigrazione intellettuale.
Certamente il percorso non è stato semplice ed i problemi non sono mancati, ma, con sacrificio e dedizione, sono stati quotidianamente affrontati e risolti, e così non hanno impedito di continuare la splendida avventura editoriale intrapresa.
Nemmeno la ben nota crisi nazionale, avvertita con più forza nel settore dell’editoria, che ha condotto testate nazionali ed internazionali ben più importanti della nostra a drastici provvedimenti, era riuscita a sconfiggere la determinazione e l’entusiasmo di mandare avanti e comunque, ogni giorno, la pubblicazione del giornale. Ma ulteriori motivi, purtroppo esterni alle normali dinamiche imprenditoriali, hanno condotto e costretto me e la mia famiglia a prendere la decisione sofferta or qui in commento.
Il riferimento corre ad una tristissima vicenda imprenditoriale, trasformatasi ben presto in giudiziaria, condotta ad armi impari nei confronti del sottoscritto e delle sue aziende e che, nonostante la strenua difesa dei miei diritti e delle mie ragioni, ha prodotto effetti devastanti a tutte le società del mio gruppo imprenditoriale/societario, che si sono riverberati pesantemente anche nei confronti del gruppo editoriale che, anzi, indirettamente, ne é stata la causa scatenante per come tra breve spiegherò.
Dicevo appunto di una grave vicenda imprenditoriale in cui una società del gruppo è stata vittima dapprima di una condotta spregiudicata da parte di un proprio importante partner commerciale (una multinazionale del settore food) il quale, con condotte tutt’ora al vaglio della magistratura civile e penale, ha artatamente creato una ingente posta di credito, che le ha consentito, cinque anni or sono, di avanzare una istanza di fallimento.
Fin qui nulla di straordinario: un credito fittizio e contestato ed una istanza di fallimento audace e senza la presenza di altri creditori, avrebbero condotto a sicuro rigetto l’iniziativa giudiziale.
E sarebbe stato certamente così se non avessi incontrato sulla mia strada un giudice (l’arbitro della partita) che, per come si è scoperto dopo alcuni anni, non è stato affatto imparziale (come la legge e la Costituzione gli impongono), ma anzi, a causa di forti motivi di risentimento personale nei confronti del sottoscritto, ha emesso sentenze e provvedimenti viziati da tale mancanza di imparzialità.
Motivi di risentimento che, per come scoperto in corso di causa, trovavano origine, tra l’altro, proprio in un articolo comparso sul giornale pochi mesi prima dell’avvio della procedura fallimentare, il quale aveva riportato una normale notizia di cronaca giudiziaria, riguardante il menzionato giudice non imparziale, per una sua condanna personale subita a causa di una aggressione ad un vicino di casa: una signora che rimase vittima di lesioni procuratele dal giudice con un martello pneumatico. Una notizia pubblicata senza enfasi o particolari e morbose attenzioni, una normale notizia di cronaca giudiziaria che un giornale libero aveva ed ha il diritto ed il dovere di pubblicare, ma che alla fine, purtroppo, tanto cara è costata alla esistenza stessa del giornale: di più, una notizia che, a dispetto dell’appellativo di “ras dell’informazione”, con cui quel giudice mi etichettava proprio con l’allora Direttore della Basilicata, Paride Leporace, neppure io conoscevo così come tutte le notizie che, con orgoglio, ho sempre letto il giorno dopo perché mai il mio giornale mi ha visto presente in redazione a decidere alcunché sui contenuti proprio per rispetto di quella libertà e indipendenza che ha ispirato il mio modo di interpretare l’essere editore!
Ma, tornando alla narrazione dei fatti, quella istanza di fallimento finita in mano a quel giudice non imparziale, conduce ad una ingiusta ed illegittima dichiarazione di fallimento della società (un fallimento che, come sarà accertato sia dalla Corte d’Appello che dalla Suprema Corte di Cassazione, non avrebbe dovuto esser dichiarato).
Un fallimento che, però, nonostante la immediata revoca disposta dalla Corte d’Appello, e quella definitiva della Cassazione, mantiene perduranti i suoi effetti disastrosi per l’azienda e per il sottoscritto, nonché per le società dal sottoscritto amministrate e/o partecipate, a causa della pervicace e perfida azione di quel giudice non imparziale, che con proprie ordinanze perentorie, tra l’altro, impone addirittura ai vertici della locale Camera di Commercio di contravvenire ad una prassi nazionale consolidata, costringendo il Conservatore ad evidenziare il fallimento revocato sulla visura ordinaria della società.
Il danno, quindi, nonostante la disposta revoca, continua ad aggravarsi per l’evidente motivo che nessun operatore economico e finanziario (che non conosce esattamente i fatti) intende dar credito ad un soggetto o ad una società collegata ad un’altra che risulta fallita (ed oggi, con gli attuali sistemi informatici, la notizia del fallimento è facilmente ed immediatamente reperibile da qualsiasi interlocutore).
La vicenda dura tre lunghi anni, fin quando, dopo un estenuante contenzioso giudiziario che porta in Cassazione alla revoca definitiva di quel fallimento che mai avrebbe dovuto essere dichiarato, il Tribunale di Cosenza prende tardivamente atto della definitiva revoca del fallimento e dispone la riconsegna della azienda al “fallito” (sì, testualmente mi si definisce fallito nel testo del dispositivo che, a seguito di ben tre diversi giudicati, chiude la procedura fallimentare).
Ma quel giudice non imparziale – sempre lui! – non pago ancora dei danni procurati e del discredito creato, lo stesso giorno in cui il Tribunale riconsegna l’azienda per la revoca del fallimento, con separato decreto, su istanza sempre della medesima multinazionale in odore di truffa e con il suo credito che dimostreremo essere artefatto, giudizialmente contestato, emette un provvedimento, di inaudita gravità e ferocia nei confronti del sottoscritto: una anomala sospensione immediata ed inaudita altera parte dalla carica di amministratore della società appena ritornata in bonis; una vera e propria beffa! Nemmeno il tempo di gioire per la agognata riconsegna dell’azienda, perché nuovamente mi veniva sottratta di mano ed affidata ad un Amministratore Giudiziario.
Ma il disegno non era ancora concluso. Dopo un mese circa di amministrazione Giudiziaria, la società viene nuovamente dichiarata fallita: sempre dal medesimo ed imperterrito giudice non imparziale, sull’istanza, fotocopia di quella che portò al primo revocato fallimento, presentata dalla multinazionale in odore di truffa e con il suo credito contestato.
Il secondo fallimento, dichiarato senza soluzione di continuità con il primo, che era stato perentoriamente revocato, è stato davvero devastante: se durante il primo ero riuscito a tenere aperte le aziende, anche se con grandissimi sacrifici personali ed economici, dopo la seconda ingiusta dichiarazione di fallimento invece, sono stato costretto a chiudere molte aziende del Gruppo; anche quella storica di famiglia, quella ereditata dal sacrificio di mio padre e che per oltre cinquant’anni aveva fatto conoscere ed apprezzare le tradizioni del Sud e della sua norcineria in Italia ed all’estero ha dovuto sospendere le proprie produzioni. E, quel che più mi è dispiaciuto, sono stato costretto a mandare a casa tanti, tantissimi dipendenti, che avevano creduto fino in fondo alla possibilità di ripresa.
Ma dicevo: con impressionante perseveranza e pervicacia, quel giudice non imparziale continuava ad accanirsi nei miei confronti e nei confronti delle mie aziende; per vero io ero venuto a conoscenza (per la confidenza incautamente fatta dal quel giudice al Direttore Leporace al quale ebbe pure modo di propalare la notizia della sentenza di fallimento che lo stesso, in qualità di giudice relatore, anticipò 10 giorni prima della camera di consiglio in cui venne emessa) della causa di cotanto accanimento che, come detto, risiedeva, tra l’altro, nella famosa notizia di cronaca pubblicata anni addietro sul giornale. Invano ho cercato per molto tempo di segnalare l’accaduto alle competenti Autorità Giudiziarie; ho finanche proposto un esposto contro quel giudice al CSM, ma senza riuscire a scalzare la sua figura di giudice non imparziale dalle mie cause e da quella anche del secondo fallimento.
Ho proposto anche diverse istanze di ricusazione nei confronti del medesimo giudice, che nel frattempo avevo pure convenuto insieme allo Stato presso il Tribunale di Salerno, per il risarcimento dei danni provocati dal primo fallimento revocato (e che non doveva essere dichiarato – come scritto testualmente nelle sentenze di revoca!). Ma niente, i suoi colleghi del competente Tribunale, che dovevano decidere sulle mie istanze, venivano fuorviati dalle sue difese, nelle quali asseriva con forza di non avere alcun motivo di inimicizia e, soprattutto, di aver proposto nei confronti del giornale solo una mera rettifica e non altro; e che la mera rettifica non poteva dar luogo a motivo di ricusazione.
Intanto il secondo fallimento continuava a provocare disastri nelle mie aziende; altre dolorose chiusure, altri dipendenti a casa… altra continua emorragia di finanze e di iniziative che faticosamente la mia famiglia ed io eravamo riusciti a costruire negli anni.
Ed anche le sorti del giornale che, nonostante la sempre più incisiva crisi del settore, non ha mai sospeso le pubblicazioni, continuando a far sentire la sua voce libera e ad affermarsi con sempre maggiore autorevolezza nel panorama editoriale regionale, ben presto mi facevano rendere conto dell’impossibilità di proseguire il mio impegno di editore.
Intanto continuavo a combattere nelle aule giudiziarie, rimarcando tutto il mio sdegno nei confronti di quel giudice che io ormai sapevo non imparziale, ma che, senza evidenze giudiziarie, non riuscivo a scalzare dallo scranno autorevole e delicato che lui continuava ad occupare, e dal quale continuava ad ordire odiose azioni contro il sottoscritto e contro il suo Gruppo imprenditoriale.
Ma il caso ha voluto che, alla fine, sono spuntate anche le evidenze giudiziarie che hanno confermato tutto il livore e l’ostilità mostrata dal giudice non imparziale nei confronti del sottoscritto e delle sue aziende, a causa della pubblicazione di una semplice notizia di cronaca, pubblicata da un giornale libero e senza macchia.
Per caso, infatti, presso il Tribunale di Salerno un mio legale ha scoperto che quel giudice non imparziale, per la vicenda di quell’articolo di cronaca, pubblicato assolutamente nei limiti della verità, della pertinenza e della continenza, che riguardava la sua condanna per aver procurato lesioni con un martello pneumatico alla vicina di casa, non soltanto aveva proposto una semplice rettifica al giornale (come da lui sostenuto nelle sue difese), bensì aveva proposto una lunga serie di atti giudiziari (denunce, querele, memorie, plurime opposizioni a richieste di archiviazione) nei quali con inequivocabile e durissimo linguaggio accusatorio, si scagliava contro il Giornale, il suo Direttore ed evidentemente anche contro il suo editore (definendolo addirittura ispiratore), chiedendo la severa punizione penale di tutti i responsabili.
E nonostante i suoi colleghi P.M. di Salerno, proprio non riuscivano ad intravedere ipotesi di reato nell’articolo incriminato, il giudice non imparziale, ha lottato e non poco per riuscire ad ottenere la punizione di quelli che solo Lui riteneva colpevoli, proponendo plurime ed incalzanti opposizioni, nelle quali è arrivato finanche a dedurre di aver visto la sua carriera rovinata a causa di quell’articolo (non dal suo insano gesto contro il vicino!) che aveva semplicemente informato i lettori su una vicenda di cronaca giudiziaria.
Non essendo riuscito ad ottenere giustizia con le sue denunce contro il giornale, quel giudice non imparziale, ha pensato bene di trovare soddisfazione accanendosi contro le società rientranti nel Gruppo dell’editore, con le vicende fallimentari sopra narrate.
La scoperta di queste carte giudiziarie ha ovviamente avuto importante influenza anche nei Giudizi in corso.
Infatti, la Corte di Appello di Catanzaro, investita del giudizio di revocazione avverso la seconda dichiarazione di fallimento, letti i nuovi atti giudiziari scoperti presso il Tribunale di Salerno, non ha potuto far altro che accertare e dichiarare i gravi ed evidenti motivi di inimicizia e di rancore che quel giudice non imparziale aveva ed ha nei confronti del sottoscritto: una grave inimicizia che, secondo la Corte catanzarese (v. sent. 1814/2013, ormai passata in giudicato), avrebbe comportato la mancanza di serenità e di imparzialità in quel giudice ed avrebbe dovuto imporgli l’astensione dai giudizi nei confronti del sottoscritto e delle sue aziende; astensione che non c’è stata e che, quindi, in difetto, si è tradotta in motivo di nullità di tutte le sue sentenze.
Questa importante sentenza, che ha dato la conferma al sottoscritto che la Giustizia in Italia esiste e funziona, nonostante la presenza di qualche giudice non imparziale che ne scalfisce l’immagine ed il prestigio, ha finalmente tolto di mezzo dai giudizi riguardanti le società del Gruppo quel giudice non imparziale, ed adesso posso attendere con maggiore serenità gli esisti della Suprema Corte che dovrà tenere conto dell’importante arresto sopra citato.
Intanto, però, ancora oggi a distanza di cinque anni dal primo, il secondo fallimento è attivo e continua a produrre ulteriori devastanti conseguenze.
L’ultima, purtroppo, è quella che mi conduce oggi a “passare il Giornale ad altri”, che mi costringe all’ennesima rinuncia imprenditoriale e che mi porta a ridimensionare fortemente la mia figura di editore.
La tristezza è tanta, ma l’orgoglio di aver creato e condotto (insieme agli altri artefici del successo editoriale – direttori, giornalisti, impiegati, e poligrafici) ai livelli di successo attuali il Quotidiano della Basilicata, mi rincuora.
Ringrazio tutti quelli che hanno vissuto, sofferto e gioito insieme a me ed alla mia famiglia, per lo splendido successo editoriale che siamo riusciti a portare avanti fino ad oggi, pur nelle mille difficoltà narrate.
L’esperienza rimarrà indelebile nel mio cuore e nella mia memoria: io continuerò a combattere nelle aule giudiziarie per vedere riconosciuti fino in fondo i miei diritti e quelli delle mie aziende, sacrificate purtroppo sull’altare di un giudice non imparziale. Ma, come già detto, non ho perso la voglia di continuare a combattere, di volere bene al mio territorio ed ai miei collaboratori e dipendenti, cui intendo poter assicurare ancora un futuro, nonostante tutto.
E’ per questo motivo che sono comunque lieto che il Quotidiano del Sud raccolga il testimone di una editoria sana, libera e di qualità che mettendo in sinergia con altre testate le proprie competenze, conoscenze e attenzione e amore per il proprio territorio di riferimento può rilanciare e sviluppare una voce autorevole che da Sud parli a tutto il Paese.
Da parte mia la consapevolezza di non aver tradito quei valori di libertà e di operosità rivolta al bene comune che è stata l’eredità più importante che ho ricevuto da mio padre affidandola nelle mani di giornalisti e operatori dell’informazione che sapranno difenderli e valorizzarli con altrettanta caparbietà e determinazione.
*presidente Luedi srl
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