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POTENZA – Cosa resterà di questi anni social, di questi tempi in cui tutto sembra lecito e il rispetto dell’altro è l’ultimo dei nostri problemi? L’eredità che questi anni di presunta libertà di pensiero ci hanno lasciato è prima di tutto una profonda e avvilente inciviltà, l’incapacità di un dialogo anche serrato, ma rispettoso. E il linguaggio si è fatto via via più violento, più feroce. Bisogna ferire l’altro, colpirlo, umiliarlo. Non si deve costruire ma distruggere tutto ciò che è altro da me.
E accade in tutti gli ambienti, dal pubblico al privato (sempre che ancora qualcosa possa essere definito privato). In queste settimane, leggendo le “cronache” delle avvilenti chat dei genitori sembra di ritrovarsi nella Milano seicentesca raccontata da Manzoni, con il povero Renzo scambiato per untore e la folla inferocita che lo insegue urlando “Dagli all’untore!”.

La paura, per carità, è legittima. Ma perdere il controllo, violando i dati sensibili anche di minori per scoprire dove si annida il malato, è qualcosa che va oltre. E’ il segno di quanto questa nostra società debba preoccuparsi non solo di un virus che si annida nei polmoni, ma anche di un altro ben più pericoloso, che azzera i nostri cervelli.

A Potenza, negli ultimi giorni, si è avuto il disonore di assistere a episodi davvero poco edificanti. I piccoli ospiti di una casa famiglia sono stati contagiati. Frequentano classi in diverse scuole della città. Inutile dire che i dirigenti scolastici delle scuole interessate hanno, come vuole la procedura, isolato le classi mettendo in quarantena i ragazzi e ovviamente igienizzato e sanificato tutti gli ambienti anche comuni, perché gli altri potessero frequentare la scuola regolarmente. Ricordiamo che, in questa fase, i dirigenti scolastici hanno delle enormi responsabilità, quindi non lascerebbero entrare a scuola ragazzi e docenti senza tutte le necessarie precauzioni. Ma questo non è bastato a rassicurare tutti, tanto che il giorno dopo l’annuncio della quarantena per diverse classi, a scuola sono entrati pochissimi ragazzi. E questo è legittimo. Aver timore e decidere, per un giorno, di tenere a casa il proprio figlio, è una scelta assolutamente legittima.

Lo è meno avviare una vera e propria crociata contro chi ritiene che non ci siano le condizioni per non portare i figli a scuola. Ed è assolutamente ingiustificabile diffondere i nomi dei ragazzi “colpevoli” di aver portato il virus a scuola. Violare dati sensibili di minori che, tra l’altro, sono probabilmente già provati dalla vita. Sulle maledette chat di WhatsApp sono volate offese, insulti, accuse. E’ partita la caccia alla casa famiglia incriminata, sono stati isolati e trattati da appestati ragazzi di tutte le case famiglia, perché il nome di quella interessata non è subito uscito.

Sono partiti gli insulti delle mamme ad altre mamme colpevoli di usare la scuola come parcheggio perché lavoratrici. E se anche fosse? Ci si mette mai nei panni degli altri, ci si chiede mai come devono fare quelle mamme senza nessuno che le aiuti e che devono lavorare per vivere? Ma dobbiamo ricominciare sempre daccapo, dovendo difendere le donne che lavorano dagli attacchi di chi ha fatto una scelta diversa? Ci si chiede mai quanto una parola o una frase possano pesare sull’altro?

Ovviamente no. E neppure viene il dubbio che magari la Dad potrebbe non essere per tutti la giusta soluzione. Sono colpevoli, dagli all’untore.
Si è dato il peggio, mostrando come gli slogan “Andrà tutto bene” e “Usciremo migliori”, fossero solo delle enormi cavolate.
Avere paura è legittimo, ci mancherebbe. Tutti ne hanno, anche chi decide di mandare i figli a scuola e chi si trova, suo malgrado, nella condizione di malato. Ma di solito a chi sta male si esprime solidarietà, non lo si accusa di aver portato la malattia in giro. Il momento è difficile, lo sappiamo. Ma proviamo a uscirne provando a tirare fuori sentimenti migliori.

Di rispetto prima di tutto. Poi ognuno può pensarla come vuole, ognuno può fare le scelte che vuole. Ma impariamo a esprimere diversamente le nostre più profonde emozioni. Si può manifestarle senza per forza denigrare l’altro, provando ad accogliere le prospettive dell’altro. Smettiamola di urlare di voler difendere i nostri figli e di buttare nella spazzatura quelli degli altri. In una società ideale dovremmo trattare gli altri come noi stessi. Staremmo tutti meglio.

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