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POTENZA- «La crescita dei reati contro la pubblica amministrazione e in materia ambientale sembrerebbe confermare anche l’espansione di quell’area grigia in cui si muovono taluni amministratori locali, pubblici ufficiali e professionisti compiacenti, al limite tra legalità e connivenza mafiosa».
E’ presentata ancora come un’ipotesi investigativa, ma promette sviluppi giudiziari clamorosi, l’analisi sulle attività dei clan in Basilicata al centro dell’ultima relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia.

Ieri è stato pubblicato il dossier sulle principali attività svolte nel contrasto al crimine organizzato tra gennaio e giugno del 2020. E al suo interno, quanto alla presunta espansione dell’«area grigia» in cui si muovono alcuni amministratori, professionisti e la malavita, viene citata anche un’interdittiva antimafia «emessa dal prefetto di Potenza nei confronti di uno studio di commercialisti operante nei servizi integrati di consulenza fiscale».

Più in generale, gli investigatori della Dia, parlano di una conferma del «radicamento in Basilicata di organizzazioni criminali anche di tipo mafioso connotate sia da una tradizionale impostazione gerarchica, con gruppi armati pronti a usare la violenza per mantenere il controllo del territorio, sia dall’inclinazione, tipica delle mafie imprenditorialmente più evolute, all’infiltrazione nell’economia legale ed al riciclaggio in grado di interagire con quella parte compiacente dell’imprenditoria e della politica locale».

Quanto alle caratteristiche specifiche del tessuto criminale lucano, la Dia, evidenzia la «peculiare capacità di rigenerazione che contraddistingue la criminalità lucana pronta a una costante revisione degli assetti anche attraverso l’impiego di giovani leve».
«Nel territorio, infatti – è scritto ancora nella relazione -, con gli esponenti di storici gruppi criminali di tipo clanico e a connotazione familistica convivono nuove aggregazioni le quali hanno avuto la possibilità di crescere e ritagliarsi autonomi spazi di operatività, forti sia dei consolidati legami con i sodalizi più antichi e strutturati sia dei rapporti con referenti criminali di altra estrazione regionale.

Seppure sporadici, alcuni episodi “di scontro” risultano comunque indicativi delle tensioni in atto, consequenziali alla frammentarietà delle organizzazioni e soprattutto all’assenza di un vertice condiviso».
Gli investigatori hanno analizzato anche la situazione specifica di ognuna delle due province.

Nel potentino, quindi, segnalano che «le estorsioni restino tra le condotte predilette dai clan (…) quale forma di controllo del territorio concretizzatasi anche nel periodo in esame attraverso danneggiamenti, incendi e atti minatori, verosimilmente riconducibili alle strategie messe in atto dai locali gruppi criminali nel perseguimento di una tipica pressione estorsiva in particolare ai danni di imprese economiche, commerciali e imprenditoriali».
In questo senso vengono segnalati «diversi incendi dolosi in particolare, nei comuni di Atella, San Chirico Raparo, Lavello e Filiano, in danno di aziende che si occupano della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti, nonché aziende del settore agricolo e caseario, eccetera».

Nel materano e in particolare nell’ampia fascia ionica cosiddetta metapontina, invece, si conferma la presenza di «agguerriti gruppi mafiosi che compiono attentati ed intimidazioni, sviluppano un controllo monopolistico di attività imprenditoriali di rilievo centrale nell’economia locale (produzione e commercio di ortofrutta, turismo, attività edilizie, principalmente), condizionano le amministrazioni locali, nonché svolgono imponenti attività di riciclaggio, specie nel settore agricolo e del commercio di ortofrutta anche in collegamento con le mafie presenti nei distretti viciniori».

La Dia, che riporta ampi stralci dell’informativa resa dal procuratore capo di Potenza, Francesco Curcia, che ha evidenziato che «non esiste parte del distretto immune dal fenomeno delle associazioni criminali di tipo mafioso». Poi vengono esaminate, le interazioni tra i clan lucani e quelli di altre regioni. Clan che «continuano a rappresentare per le autoctone organizzazioni criminali i maggiori mercati di riferimento per l’approvvigionamento degli stupefacenti». Sebbene in provincia di Matera e nel litorale metapontino sia emersa «un’aspirazione all’espansione e al potenziamento avendo instaurato anche collaborazioni dirette con i gruppi albanesi (…) proponendosi, infine, come “agenzia di servizi” per gli altri clan presenti nel territorio».

Nella relazione trovano spazio, infine, due operazioni particolari messe a segno dalle forze dell’ordine che non hanno nulla a che vedere con la criminalità organizzata ma vengono considerate comunque «particolare interesse» data la pandemia da covid 19 in corso. Vale a dire «la denunzia in stato di libertà a carico di due imprenditori di Lavello e Melfi, nelle cui aziende sono state rinvenuti e sequestrati 8 milioni di dispositivi di protezione individuale, tra cui anche mascherine facciali, schermi protettivi e guanti monouso con marchio “CE” contraffatto».

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