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POTENZA – Per capire meglio le cose bisogna partire dai numeri. Perchè quelli ti danno il senso esatto del problema, anche quando si parla di mense.
Nel capoluogo – quando il servizio è a regime – si consegnano 1.700 pasti giornalieri. Ci sono giorni in cui si arriva a 1.900, quando “rientrano” nel pomeriggio anche alcune classi delle scuole medie. Ci sono 8 punti cottura: qualche anno fa proprio il Comune fece un consistente investimento per evitare il cosiddetto veicolato, ovvero il cibo cucinato altrove e trasportato nelle mense.
Il servizio mensa costa al Comune di Potenza all’incirca 1 milione di euro l’anno. Complessivamente. Ma a questo milione va sottratta poco più della metà, all’incirca 550.000 euro. E’ questa la cifra – può variare di qualche migliaio di euro – con cui le famiglie contribuiscono al servizio. C’è poi un 47% totalmente a carico del Comune. E’ questa la parte versata in luogo delle famiglie che non possono permettersi il servizio. Sempre più disoccupati, cassintegrati. La povertà (parziale o totale) riguarda ormai quasi la metà delle famiglie che hanno figli in età scolare in questa città. E ovviamente non si potrà mai dire a questi bambini – come successo purtroppo altrove in questo Paese – “non paghi, non mangi”.
Però – questa è un’altra delle proposte che si possono avanzare – non si potrebbe iniziare ad avviare un servizio facendo conto di avere già una metà pagata?
Le famiglie, con le loro quote potrebbero inizialmente finanziare le spese vive della ditta, ovviamente garantendo il servizio a tutti. Nel frattempo si inizia. E poi la metà restante in qualche piega del Bilancio si riuscirà a trovare. Dai soldi – sappiamo che alla fine succederà – che la Regione darà al Comune, quella cifra si riuscirà a ritagliare. Nel frattempo però si garantisce un servizio fondamentale, la cui assenza sta facendo non poco male alla città. E continuare a raccontare la storia della famiglia che ha speso più di quanto guadagnava non aiuta a digerire (e proprio la parola giusta). Anche perchè molti cittadini sentono di aver speso, finora, più di quanto hanno ricevuto.
Ciò detto, noi siamo andati avanti nella ricerca di esempi alternativi da poter copiare per trovare una soluzione definitiva al problema mense. E l’esempio l’abbiamo trovato proprio nella nostra città.
Quando le suore salesiane, tra gennaio e febbraio dello scorso anno, annunciano che chiuderanno la Materna adiacente alla chiesa di Betlemme, i genitori si rimboccano le maniche. Non potevano permettere che quella struttura chiudesse, così si costituisce un’associazione di genitori. Regolarmente registrata, con un suo Statuto e un consiglio di amministrazione. I genitori diventano così imprenditori, non guadagnando da questo un solo euro. E ognuno mette a disposizione la propria competenza: c’è il genitore ragioniere, quello che sistema le attrezzature. Dalla fattiva collaborazione di tutti i genitori nasce questo piccolo e innovativo esempio di “autogestione”. Si tratta di una scuola Paritaria: c’è un’iscrizione annuale, una retta mensile e la mensa lo scorso anno si pagava 2 euro (garantendo il primo e la frutta). E’ chiaro che anche in questo caso sarà necessaria la copertura parziale da parte del Comune per le fasce meno abbienti, ma probabilmente in futuro dovremo abituarci a risolvere i problemi affrontandoli direttamente.
a.giacummo@luedi.it
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