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POTENZA – Mai esagerare con alcol e droghe, e, soprattutto, mai frequentare esponenti del clan nemico.
E’ un vero proprio codice criminale quello captato dalle microspie degli agenti della mobile di Potenza, che l’11 luglio del 2013 hanno registrato la trasferta a Melfi di Kebir Moukthari, giovane ma scaltro «referente dei pignolesi» per il traffico di stupefacenti, nelle vesti di ambasciatore del “buon ordine” dell’organizzazione.
«Per quanto accertato dalla Squadra mobile – scrive il gip Luigi Spina nell’ordinanza eseguita ieri – Moukthari era stato inviato a Melfi da Vito Riviezzi (ancora sottoposto agli arresti domiciliari) per affrontare una serie di problematiche insorte all’interno del clan Cassotta. In particolare Anna Maria Ardoino, compagna di Massimo Cassotta, si doleva di non essere assistita economicamente dagli altri sodali e contestava ai “melfitani” e soprattutto al figlio Giuseppe Caggiano, comportamenti non consoni alle regole criminali atteso che sovente esagerava nel “bere” e faceva mancare i soldi alla madre e quindi al suo compagno. Ancora più grave era ritenuta la sua assidua frequentazione con i rivali del clan “Di Muro- Delli Gatti”».
Oltre a Moukthari e alla compagna di Massimo Cassotta, considerato il capo dell’omonimo clan dopo l’assassino del fratello Marco Ugo, gli investigatori hanno riconosciuto la voce proprio del figlio di Marco Ugo, Antonio Cassotta, arrestato ieri mattina. Mentre Giuseppe Caggiano, figlioccio di Massimo, sarebbe arrivato in un secondo momento per affrontare il “processino” della madre e del cugino, spalleggiati dall’amico venuto da Pignola.
Anche Antonio Cassotta sembra molto preoccupato dal comportamento di Caggiano, dopo i problemi avuti con un altro cugino, Alessandro, orfano come lui dopo l’omicidio dello zio Bruno, l’ultimo morto della faida del Vulture, a ottobre del 2008. Problemi che nemmeno le maniere forti di Sergio, considerato il fratello-vicario di Massimo, fintanto che resta in carcere, sono riusciti ad aggiustare.
«Zio Sergio lo sai che ha massacrato ad Alessandro. Te l’hanno detto, non te l’ha detto zia? Che devi fare? Li devi uccidere?» Sono le parole del giovane erede del boss, a corto di soluzioni per rimettere in riga Caggiano, finito nel mirino di due ex amici diventati collaboratori di giustizia che lo accusano di aver preso parte all’omicidio di Giancarlo Tetta, vicino al clan Di Muro-Delli Gatti. Un’esecuzione considerata la vendetta del clan per la morte del padre di Antonio, Marco Ugo. «Ma come sei un cristiano sei? Che si ubriaca e tira cocaina?»
Quanto fossero conosciute nell’ambiente le intemperanze di Caggiano si capisce anche dalle parole del pignolese Moukthari: «Ma Giuseppe si deve dare una regolata, che è sta cosa che beve, fa… Dice che si accoppia insieme a quegli altri. Va bevendo la sera. Ma qui già di guai ne sono assai, se ne devono prendere altri?»
«Ieri dice che ha fatto discussione con la madre che il… senza soldi è venuto a casa: come devo fare, come non devo fare… Era ubriaco perso. Gli ho dato 50 euro«. Gli replica Cassotta.
«Dobbiamo andare da Giuseppe che lo dobbiamo fare ragionare. Che si deve mettere un po’ con la testa sopra le spalle…» Conclude Moukthari prima di informarsi anche su Alessandro.
«Quello è un drogato perso ormai«. Taglia corto il figlio del padrino trucidato da uno dei suoi uomini più fidati a luglio 2007. «Quello manco… Se tu mi dici a me: lo dobbiamo aiutare.. Non lo aiuterei manco. Si è fregato 300mila euro Kebir. 300Mila euro! Zio Sergio a quello lo ha mandato all’ospedale quante mazzate gli ha dato (…) Io tutti i giorni sto da solo. Io mi fido più di quel compagno mio là. Come si chiama … Fabio (Identificato in Fabio Irenze, ndr)».
Poi arriva Caggiano e la discussione torna su di lui. E’ Moukthari l’ambasciatore a metterlo di fronte alla situazione, chiamando in causa direttamente Vito Riviezzi, figlio di quel Saverio che per gli inquirenti è l’ultimo dei boss dei basilischi in attività, a capo della ‘ndrina dei pignolesi.
«C’è Vito che è nero, è nero che questo si va… si va ubriacando, si va facendo… A lui gli hanno detto che ti ubriachi tutti i giorni. Poi dice tutte le sere sempre insieme a quelli là!» Insieme a quelli dell’altro clan. «Il fatto che vai a quel bar là ve l’ho sempre detto, che mò che esce zio Massimo. Quello altro non ha detto: sfregare agli altri». Rincara la dose Antonio Cassotta. «Mò che lui e lo zio vanno! Mò che è, se la vedono loro!»
A parole la faida non è ancora finita.
l.amato@luedi.it
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