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POTENZA – Non è stato un agguato «in stile mafioso» quello in cui è morto Donato Abruzzese, l’imprenditore 44enne trucidato sotto casa a Potenza il 29 aprile del 2012. Ma il suo assassino reo confesso, il 55enne pluripregiudicato Dorino Stefanutti, non ha agito nemmeno per legittima difesa e dovrà scontare 24 anni di carcere.
Ha deciso così ieri sera, dopo una camera di consiglio che si è trascinata più del previsto, il gup Rosa Larocca davanti a cui si è svolto col rito abbreviato il processo per l’omicidio di via Parigi.
Il magistrato ha accolto solo in parte le conclusioni del pm Francesco Basentini, che aveva chiesto l’ergastolo per Stefanutti. Ma ha respinto anche la difesa di Dorino Stefanutti, considerato lo storico braccio destro del boss Renato Martorano (in carcere a regime di 41bis per usura ed estorsione aggravate dal metodo mafioso), che ha sempre sostenuto di essere stato attirato in una trappola dall’ex amico.
All’uscita dall’aula la sentenza è stata accolta dalla commozione della vedova di Abruzzese, assistita dall’avvocato Angela Pignatari, che ha parlato di «una decisione equilibrata».
Mentre i legali di Stefanutti, Rita Di Ciommo e Salvatore Staiano attendono le motivazioni, ma sembrano intenzionati a proporre appello.
Durante il dibattimento i rapporti tra Abruzzese e Stefanutti sono stati ripercorsi da varie angolazioni.
La loro frequentazione era un fatto noto ma nell’ultimo periodo, e soprattutto nei giorni che hanno preceduto l’omicidio diversi testimoni hanno raccontato che tra i due era calato il gelo.
L’ex boxeur ha raccontato agli inquirenti di aver rifiutato di fare da padrino al figlio della vittima e di aver discusso con lui, poche ore prima della sparatoria, su chi dovesse offrire da bere all’altro in un noto ristorante di Potenza. Ma gli investigatori non hanno mai dato credito alla sua versione: né gli agenti della sezione anticrimine della mobile guidati dal vicequestore Carlo Pagano, né il pm Francesco Basentini della direzione distrettuale antimafia, che ha chiesto e ottenuto il suo arresto, poi confermato dal Tribunale del riesame. Tant’è che di recente tra i capi di imputazione a carico del boxeur erano comparse anche le minacce alla collaboratrice di Abruzzese che ha svelato i loro affari in comune proprio nel settore delle macchinette.
Stando sempre al racconto dell’unico imputato la calibro 9 semiautomatica che ha esploso 11 colpi, 5 dei quali sono andati a segno sul corpo di Abruzzese sarebbe stata portata sulla scena del crimine da un amico della vittima, che aveva “convocato” Stefanutti sotto casa sua per un chiarimento dopo la discussione nel ristorante per il suo rifiuto di fare da padrino al figlio. Poi una volta arrivato sotto casa del compare mancato avrebbe trovato l’amico con la pistola in mano, l’avrebbe disarmato e avrebbe cominciato a sparare rispondendo al fuoco aperto da Abruzzese che intanto era sopraggiunto dalle scale.
A smentire la versione di Stefanutti sono stati proprio la vedova di Abruzzese che ha assistito all’antefatto della sparatoria dal balcone di casa e lo stesso amico di Abruzzese accusato di aver portato la calibro 9, che l’ex pugile ha raccontato di aver gettato via ma quando sono arrivati gli agenti del 113 era già scomparsa.
A nasconderla era stato sempre l’amico di Abruzzese che a distanza di qualche ora ha indicando il posto dove l’aveva messa assieme alle altre due che hanno sparato quella sera: una piccola 6,35 che ne ha esplosi 4, ferendo Stefanutti a una coscia; e un revolver 10,35 con una macchia di sangue sulla canna che ne avrebbe esploso uno solo.
Le motivazioni della decisione verranno depositate entro 90 giorni.
Stefanutti è stato condannato anche al risarcimento dei familiari di Abruzzese.

l.amato@luedi.it

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