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POTENZA – E’ il giorno del giudizio per il viceministro dell’Interno Filippo Bubbico.
A meno di sorprese infatti dovrebbe arrivare entro sera la decisione del collegio del Tribunale di Potenza nel processo che lo vede imputato per abuso d’ufficio assieme ai membri dell’ufficio di presidenza del Consiglio regionale che nel 2005 decisero di affidare una consulenza da 23mila euro sulla riorganizzazione del parlamentino lucano all’avvocato Paolo Albano, nominato di recente all’ufficio Valutazione, merito e semplificazione e responsabile per la trasparenza della Regione.
Ad aprile Bubbico ha rinunciato alla prescrizione come hanno fatto anche altri 3 degli ex consiglieri che facevano parte dell’ufficio di presidenza: Rosa Mastrosimone, Giacomo Nardiello ed Egidio Digilio. Mentre il solo Antonio Flovilla ha deciso di avvalersene ed è stato prosciolto dalle accuse.
Stando all’ipotesi degli investigatori la delibera in questione sarebbe stata carente del «presupposto dell’assenza di risorse umane all’interno dell’amministrazione in grado sotto il profilo quali-quantitativo di svolgere l’attività affidata al consulente esterno».
All’interno degli uffici del Consiglio in quel periodo prestavano servizio 87 dipendenti, tra i quali 9 dirigenti e 46 funzionari con qualifica direttiva, che «in considerazione del titolo di studio posseduto e della figura professionale rivestita», secondo la Procura «ben avrebbero potuto attendere all’incarico affidato all’avvocato Albano», in considerazione del «carattere ordinario» delle attività affidate all’esterno dell’amministrazione, che non avrebbero implicato «problematiche di particolare complessità» per cui si sarebbe reso necessario un curriculum di livello certamente superiore come il suo.
Quindi, ad avviso della procura, Albano avrebbe elaborato un’ipotesi di riassetto degli uffici del Consiglio regionale «che non è stata di alcuna utilità per la Regione». Una circostanza dedotta da una delibera del 2007, per cui gli uffici del Consiglio sono stati riorganizzati secondo le proposte avanzate in un documento del nuovo direttore generale, «che diverge profondamente rispetto alla proposta del consulente esterno». Di qui l’idea che il compenso percepito dall’avvocato configurerebbe «un danno ingiusto» inflitto alle casse di via Verrastro.
In realtà durante la scorsa udienza, proprio il direttore generale del Consiglio che nel 2007 ha realizzato la riorganizzazione degli uffici, Agostino Giordano, aveva “scagionato” i membri dell’ex ufficio di presidenza, spiegando di aver utilizzato il progetto elaborato da Albano come base di partenza. Stessa tesi che un attimo prima aveva sostenuto la senatrice Pd Maria Antezza, che nel 2006 era succeduta a Bubbico alla presidenza, dopo la sua elezione in Parlamento.
In più a domanda del compianto avvocato del viceministro, Tuccino Pace, Giordano aveva accennato a questioni aperte tra alcuni dirigenti del parlamentino lucano che secondo la difesa avrebbero giustificato l’affidamento all’esterno di un incarico di quel tipo.
A maggio quindi sono stati sentiti proprio i dirigenti che all’epoca vennero convocati per discutere sulla «riorganizzazione degli uffici». Un incontro a cui non tutti avrebbero fatto seguite proposte concrete come ammesso da loro stessi.
Sulla stessa vicenda pende anche un giudizio in Corte dei conti dopo che è stata rovesciata la sentenza dei giudici di primo grado che quasi cinque anni fa si erano spogliati delle accuse nei confronti dell’ufficio di presidenza evocando l’immunità prevista per i consiglieri regionali nell’esercizio delle loro funzioni (legislativa, di indirizzo politico e controllo, e di autorganizzazione interna): «a prescindere dal fatto che tali funzioni si esplichino in atti formalmente amministrativi».
l.amato@luedi.it
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