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«SOLO blues di strada, solo quello». Il che significa raccontare un pezzo di vita sulle panchine di Montereale negli anni in cui a Potenza «c’era l’ordore del Sessantotto». Gennaro Critelli se c’è da parlare di musica può trattenerti a lungo all’ingresso della banca dove ora lavora, accogliendo gli utenti e buttando sempre l’occhio oltre la guardiania.

 «Bei tempi, quelli. Oggi la città è diversa, più grigia. Però sulla musica devo dire che le cose sono cambiate in meglio, c’è un sacco di fermento».

Certo, dipendesse da lui valorizzerebbe di più il blues. «Che vuole farci, è stata sempre la mia passione». Per la precisione da quando aveva 12 anni e il jazzista Alberto De Michele gli mise la chitarra in mano. «Poi cominciai a rubare accordi sulle panchine di Montereale, tutto il giorno al parco, nel bar del Dancing o al monumento ai caduti».

Trecensassantacinque giorni all’anno, inverno compreso. «E lei lo sa quanto può essere freddo l’inverno potentino».

Della vita privata, «no, no, parliamo di musica». Ma poi si scioglie quando dice che le due figlie in qualche modo hanno ereditato e rielaborato la sua passione. Federica a quattordici anni, campionessa italiana di Jackson Style, Valentina, bella voce e passione per Violetta.

«A metà degli anni Settanta a Potenza il blues era una cosa seria – racconta – . C’erano musicisti bravi, affermati. Ricordo Antonio e Giorgio Bruno, che oggi suonano con Tony Esposito; penso a Santino Giambersio, che ogni tanto suona nei concerti di Pino Daniele. Ancora, Tiziano Cillis o Nello Giudice, oggi bassista di Pino Mango. Ricordo Leonardo Daria».

Gennaro era quello della chitarra. La prima, acustica,  comprata vendendo un paio di libri di scuola, in primo magistrale. «Eravamo questi, così, senza pretese».

Poi con gli anni, piano piano, la loro generazione ha tirato su, contaminando, le generazioni successive di musicisti della città. «Venivano a chiedere “come si suona il blues?”».

«C’era anche Luca», si fa più triste. Luca Potenza se ne è andato qualche mese fa, musicista, girovago, potentino, giorni buoni e giorni no. Ha detto addio, «e ora è lassù, con mia sorella Dina, che gli ha insegnato i primi accordi».

Mentre parla scorre qualche fotografia nella galleria personale sullo smartphone, cerca quelle con i musicisti di oggi.

 Torna ancora indietro, ai tempi dei concerti e di qualche pazzia per sentire suonare i grandi. «Ci sono arrivato rigorosamente in autostop, a Milano, per l’ultimo concerto di Bob Marley». Come per andare ad ascoltare B.B. King, Eric Clapton o John Mayall.

«Compravamo dischi in continuazione, da Sardone o Brindisi Musica, in centro. Ci arrivavano suggestioni da tv e radio, c’era ancora l’eco di Woodstock».

Fatti più grandi, diventati band, gruppi o formazioni occasionali, Gennaro e gli altri si mescolavano nelle serate potentine. «Suonavamo al Covo, il pub di via Acerenza, o al Pipistrello», che ancora oggi è luogo di musica.

Adesso? «Il Potentino ha una buona scena musicale. Penso ai talenti di Donato Corbo, Gianfranco Cloralio, Rosario Claps, Renato Pezzano».

Gennaro suona solo per passione, a casa, con gli amici. E se capita, di tanto in tanto, mette mano all’unica canzone che ha composto. «Fece storia da queste parti, sa?». Il titolo: I come from Avigliano by the calabrolucana. Il testo, però, quello era in «potentino stretto». 

s.lorusso@luedi.it

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