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«CHI crede che la Sider non “inquini” e non “inquinerà” più si sbaglia di grosso». Così uno dei 250 dipendenti che a partire da domani rientrerà nello stabilimento siderurgico del capoluogo.
Attenzione, però, al senso che l’operaio da al termine “inquinare”. «Anche il tubo di scappamento di un’autovettura inquina e non per questo si bloccano tutte le auto». A pensarla così non è solo lui ma anche i suoi colleghi che, a seconda dei turni, giorno e notte, in quella fabbrica ci lavorano. E ci lavorano «senza alcun timore» perché sanno «anche respirare i gas di scarico delle auto non è sicuramente salutare». Ma poi è sempre lecito domandarsi due cose. La prima: chi ha consentito che, anno dopo anno, quella che era una zona industriale si trasformasse in un quartiere residenziale? La seconda: è più facile prendere e “spostare” uno stabilimento o impedire – e questa è storia di oggi – la costruzione a Bucaletto delle due mini torri e delle palazzine più basse dove andranno ad abitare non solo quelli che ancora vivono nei prefabbricati ma anche altri cittadini?
Domande semplici a cui nessuno risponde.
Ed ecco che già prima del sequestro proprio quei 250 operai – che dentro quella fabbrica ci lavorano giorno e notte e che, pertanto, sono i primi a diretto contatto con l’ “inquinamento” – ogni volta che la Sider veniva paragonata all’Ilva di Taranto hanno levato gli scudi. E non per superficialità o per disinteresse nei confronti dei cittadini che si lamentavano dei fumi. Se levata di scudi c’è sempre stata è perché nessuno di loro ha mai ritenuto che «ci fosse un rischio mortale». Da quando la Sider è stata rilevata dal gruppo Pittini «l’azienda ha investito 85 milioni di euro in interventi di sicurezza, interna ed esterna». Qualcuno potrebbe obiettare che possa trattarsi di una sorta di “difesa d’ufficio”. Ma chi sarebbe così folle, sapendo che si potrebbe rischiare la vita, da difendere a oltranza un qualcosa di estremamente dannoso? Bisognerebbe davvero essere dei folli a scegliere di morire sul lavoro.
Come accaduto a Giuseppe Santoro che, l’8 aggosto del 2008, fu travolto da un treno carico di ferrame che si schianto contro la palazzina della Sider dove si trovano gli uffici e gli spogliatoi del personale. E proprio il caso ha voluto che l’8 agosto scorso, mentre i colleghi di Giuseppe marciavano in silenzio per ricordare quel tragico incidente, il Gip, Luigi Spina firmava il provvedimento di facoltà d’uso dello stabilimento.
Sempre il caso ha voluto che il 13 agosto – giorno in cui Giuseppe moriva dopo 5 giorni di agonia nel Reparto di rianimazione del San Carlo – un centinaio di lavoratori, tra manutentori, impiegati e produttivi hanno potuto, anche se per poco, rientrare in fabbrica. Ultimo segno del destino è l’orario. Alle 14 del 25 luglio scorso l’impianto veniva spento. Alle 14 di domani, invece, sarà riacceso.
al.g.
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