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UN dato – numerico – è certo: con tutti i soldi sottratti alla casse della “Casa delle Divina Provvidenza” – soldi  scoperti e  sequestrati dalla magistratura di Trani – l’ente ecclesiastico non solo non avrebbe i debiti che ha ma navigherebbe nell’oro visti i vari tesoretti, i conti allo Ior e altri milioni di euro “fatti sparire” e ora sotto sequestro. Solo l’ultimo ammonta a 530.000 euro. E non c’è da stupirsi se oggi l’ente ecclesiastico è sempre più sull’orlo del baratro. Per comprendere la situazione è necessario fare un piccolo passo indietro. È l’8 ottobre del 2013 quando sul “Quotidiano della Basilicata” scrivemmo non solo del tesoretto di 27 milioni e mezzo di euro,  sottratto ai bilanci del “Don Uva” e messo al sicuro –  fino a quando non l’ha scovato la Procura di Trani –   su un nuovo soggetto –  la “Casa di procura istituto suore Ancelle della Divina Provvidenza” amministrato da suor Assunta Pezzullo  – ma anche di quegli strani conti   aperti allo Ior ai tempi in cui Marcinkus e il suo braccio destro, il lucano don Donato De Bonis, la facevano da padroni.

I magistrati della Procura di Trani dal primo momento hanno ipotizzato  che la “Casa di procura” sarebbe stata di  fatto  la “cassaforte” della “Divina Provvidenza”. Una “Casa” dove – secondo il procuratore aggiunto di Trani,  Francesco Giannella – l’ente ecclesiastico avrebbe dirottato circa 27 milioni e mezzo di euro per sottrarli ai creditori falsando così di fatto i bilanci..

Operazione di sottrazione che poi non è andata a buon fine visto che quel tesoretto è stato  sequestrato con un decreto del gip Rossella Volpe.

Ma oltre a quei 27 milioni e mezzo di euro, facendo un passo indietro nel tempo e tornando quindi allo Ior si scopre l’esistenza di  un conto denominato “Fondo san Martino”, aperto nel marzo del 1987 da tale “Roma”.  Conto utilizzato per versare somme che «provengono – come scrive Gianluigi Nuzzi in “Vaticano Spa” – a vario titolo».

Qual è il legame tra “Roma” e la “Casa della Divina Provvidenza”? Presto detto: il commendatore Luigi Leone, di Bisceglie, in quegli anni dominus del “Don Uva”.

Come se non bastasse il conto “Fondo san Martino” – su cui Leone nell’aprile del 1991 versa 100 milioni di lire – allo Ior vengono aperti altri due conti.

Uno denominato proprio “Suore Ancelle della Divina Provvidenza-Bisceglie” e un altro “Comm. Lorenzo Leone-Bisceglie”.

Sul conto intestato alle “Suore Ancelle della Divina Provvidenza” si trovano depositati  circa  55 miliardi di lire. A fare da tramite tra Ior e “Divina Provvidenza” il commendatore Luigi Leone che grazie a conti variamente “intestati”  si trova 16 miliardi di lire che in base alle disposizioni testamentarie andranno alla figlia e ai nipoti.

Insomma tanti soldi messi al riparo nella Banca vaticana.

In Vaticano, alla luce dell’inchiesta dell’ex sostituto procuratore della Repubblica di Potenza, Cinzia Mondatore, qualcuno comincia a temere per il peggio. Si ipotizza addirittura che una parte delle somme depositate sul conto delle “Ancelle” possa avere origini illecite e che «magari – scrive ancora Nuzzi – sia stata sottratta ai malati o dirottata dai finanziamenti pubblici che le strutture (Potenza, Foggia e Bisceglie n.d.r.) ricevono».

Non viene neanche esclusa l’ipotesi che il conto nella Banca vaticana sia stato utilizzato «per parcheggiare soldi di altri» ovvero di «persone che fiduciariamente non potevano apparire tra i clienti dello Ior».

Nel frattempo la “Congregazione” continua nella sua opera. Passano gli anni, aumentano i debiti della “Divina provvidenza”, cominciano le vertenze dei lavoratori a cui non vengono pagati gli stipendi, e la Procura di Trani, intenzionata a  chiedere il fallimento dell’ente ecclesiastico apre parallelamente un fascicolo per bancarotta fraudolenta.

Per vederci ancora più chiaro i magistrati il 29 ottobre del 2013 decidono di sentire, come persona informata sui fatti, l’autore di “Vaticano spa”, Gianluigi Nuzzi che viene ascoltato  a Roma dal procuratore aggiunto Francesco Giannella. Il verbale viene secretato ma  c’è da ipotizzare che Nuzzi abbia detto molto  visto che passano alcuni mesi e nel febbraio scorso arriva un nuovo colpo di scena: vengono sequestrati circa  750.000 euro depositati su   conti correnti intestati a due  onlus che sono riconducibili all’istituto biscegliese: sono la onlus «Istituto Don Pasquale Uva Casa Divina Provvidenza» con sede a Bisceglie, e la quasi omonima «Istituto Don Pasquale Uva onlus» con sede a Potenza. Due nuovi conti, che secondo le ipotesi accusatorie, potrebbero essere serviti a sottrarre ulteriori  capitali dalle casse della  “Divina Provvidenza”. Insomma più le indagini proseguono più le cose, invece che semplificarsi, si arricchiscono di nuovi scenari.  La costituzione delle due onlus risalirebbe all’epoca in cui direttore generale dell’istituto, che porta il nome di don Pasquale Uva,  era Dario Rizzi.

Lo scorso 15 aprile la Corte di Cassazione rigetta, ritenendolo inammissibile, il ricorso dei legali della Casa Divina Provvidenza che avevano chiesto il dissequestro dei 27 milioni e mezzo di euro depositati presso alcuni conti della casa di procura “Istituto suore Ancelle della Divina Provvidenza” di Guidonia.

La sentenza di fatto ha dato ragione all’operato della Procura della Repubblica di Trani. Di fatto i soldi sequestrati sono direttamente riconducibili all’unico ente in concreto esistente e operante, ossia alla “Congregazione” .

I giudici della Cassazione hanno valutato quanto emerso dagli atti prestando particolare attenzione a una serie di documenti  dalla Guardia di finanza di Bari. I militari nella loro relazione hanno rimarcato  come la responsabile legale di “Casa di procura” fosse anche economa generale della Congregazione delle Ancelle della Divina Provvidenza. In seguito a controlli si è scoperto che in via Pantano 35 a Guidonia, indirizzo della sede della “Casa di Procura”, non c’è alcuna struttura riconducibile alle suore. A Guidonia, un tempo sì esisteva una struttura come quella di Potenza, Foggia e Bisceglie, che, però, fu venduta. O almeno così si diceva.  Il dubbio è che possa essersi trattato di una vendita “fittizia”.

La Casa Divina Provvidenza  è oggi, dopo avere scongiurato per un pelo il fallimento,  sotto la gestione del commissario straordinario Bartolo Cozzoli, e  del commissario – nominato dal Vaticano –   Luigi Martella, vescovo di Molfetta.

Al primo tesoretto di 27 milioni di euro si sono aggiunti ulteriori 530.000 euro, centesimo più centesimo meno, depositati sui conti correnti dedicati al processo di beatificazione di Don Pasquale Uva, il fondatore della Casa Divina Provvidenza dichiarato venerabile il 10 maggio 2012,  recentemente sequestrati

 La difesa di suor Cesa, ex plenipotenziaria della  “Divina provvidenza” indagata dalla Procura tranese, ha rinunciato, infatti,  al ricorso presentato lo scorso 20 giugno al Tribunale delle Misure Reali di Trani per impugnare il sequestro. La decisione dell’avvocato Francesco Paolo Sisto (legale di Suor Cesa) fa il paio con quella (identica) adottata qualche settimana fa alla vigilia dell’udienza in Cassazione dove si sarebbe dovuta discutere l’impugnazione del provvedimento del Tribunale del Riesame che aveva confermato il sequestro dei 27 milioni di euro. Secondo il procuratore aggiunto della Repubblica di Trani Francesco Giannella, l’ente di Guidonia sarebbe stato un paravento dove dirottare quattrini. Ma questo non sarebbe stato l’unico modo. Altre vie per metter al riparo liquidità sarebbero stati i due conti correnti per la causa di beatificazione di Don Uva. Secondo la Guardia di finanza solo 80 dei 530.000 euro trovati sui due depositi accesi presso la filiale di Andria del “Banco di Napoli” sono riconducibili ad offerte di devoti.

I due conti correnti sequestrati “riconducibili al postulatore beatificazione Don Uva” furono aperti 13 anni fa a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro. Ma il postulatore di nomina ecclesiastica, interrogato dagli inquirenti, avrebbe detto di non saper nulla di quei rapporti bancari, che dunque nei fatti – secondo l’accusa – avrebbero avuto altre finalità. Calato il sipario sul Tribunale del Riesame nuovo possibile scenario potrebbe esser quello preannunciato dall’avv. Sisto all’indomani della rinuncia al ricorso per Cassazione per il “tesoretto” di Casa di Procura. E cioè una dettagliata e documentata istanza di revoca del sequestro dei due conti correnti da presentare al gip del Tribunale di Trani Rossella Volpe, il cui provvedimento di sequestro preventivo del 26 luglio scorso ha portato al blocco di una serie di somme. In tal caso l’eventuale rigetto del gip potrebbe, a sua volta, esser impugnato.

Facendo un po’ di conti   si potrebbe dire che con tutti i soldi sottratti alla casse dell’ente ecclesiastico   – cifra non da poco – la “Divina Provvidenza” non solo non avrebbe i debiti che ha, ma navigherebbe nell’oro.

a.giammaria@luedi.it

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