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POTENZA – Abbandonare «quel sorriso disincatato e un po’ supponente che si riserva al dietrologo che si è lasciato trasportate dalla sua stessa fantasia». E sostituirlo con «una smorfia preoccupata» per la Basilicata.
E’ di Carlo Lucarelli la chiave di lettura autentica dell’ultimo libro di don Marcello Cozzi, il sacerdote potentino animatore del Cestrim, della fondazione antiusura Interesse Uomo e vicepresidente nazionale di Libera, nomi e numeri contro le mafie. Si intitola “Poteri invisibili: Viaggio in Basilicata tra affari, mafie, omicidi e verità sepolte (Editore Melampo, 17 euro)”, e a firmare la prefazione è stato proprio l’autore di Blu Notte e di tanti gialli che hanno appassionato centinaia di migliaia di lettori.
Poteri invisibili è dell’ideale continuazione di Quando la mafia non esiste, uscito nel 2008 in una Basilicata diversa, in cui il furore di inchieste come Toghe lucane lasciava intravedere il crollo di un sistema di potere politico-giudiziario.
Da allora molto è cambiato: Toghe lucane si è risolta con l’archiviazione della maggior parte delle accuse e l’assoluzione per le restanti.
Alcuni degli inquirenti sono finiti al posto degli imputati, come pure i giornalisti che più si erano esposti raccontando il “sistema” ipotizzato e le sue misfatte.
Alcuni dei misteri che avvolgevano le coscienze di tanti lucani onesti si sono risolti, in tutto o in parte. Come l’omicidio dell’avvocato Francesco Lanera a Melfi, o la “scomparsa” di Elisa Claps.
Mentre altri “casi” sono balzati agli onori delle cronache: dalle corruttele all’ombra delle trivelle della Valle del Sauro, al complotto per delegittimare il pm Henry John Woodcock. Passando per la calcio-connection tra sport e malavita all’ombra dello stadio di Potenza, e i processi sui rapporti tra politica e basilischi, che hanno visto la prima condanna per concorso esterno in associazione mafiosa di un amministratore lucano.
Ecco perché occorreva riprendere il filo di quel discorso aggiornando la rassegna di notizie dal fronte del contrasto alla malavita. Senza fare distinzioni tra crimine organizzato e colletti bianchi. Con spirito enciclopedico, per non dire di guida tra le “imprese” dei nemici della legalità e le vicende dove i confini tra bianco e nero sono irriconoscibili e per questo sfuggenti, se non addirittura inquientanti.
Don Cozzi non rinnega mai la sua scelta di campo, che continua a costargli non poco in termini di critiche e querele per diffamazione. Ripercorre anche i passaggi più controversi delle dichiarazioni di collaboratori di giustizia come Rino Cappiello, che sono stati smentiti nei fatti, ma continuano ad alimentare sospetti fintanto che i processi non avranno accertato come sono andate veramente le cose. A cominciare dagli autori materiali, dai mandanti e dal movente del duplice omicidio Gianfredi, il 27 aprile del 1997.
Don Cozzi si domanda se si possa parlare di un caso davvero chiuso dopo le dichiarazioni di due pentiti come il melfitanto Alessandro D’Amato e il boss potentino Antonio Cossidente. Il primo ha raccontato di aver sparato mentre il secondo di aver organizzato l’agguato per «dare un segnale» della nascita della quinta mafia. Un segnale che facesse clamore a Potenza, come in Calabria dove i padrini di San Luca avrebbero dovuto concedere il loro benestare alla nascita di una “famiglia” tutta lucana.
A febbraio la procura di Salerno dopo 4 anni alla ricerca di riscontri alle loro dichiarazioni ha spiccato dei mandati di arresto per i vertici del vecchio “clan” dei basilischi, incluso il boss Gino Cosentino che nel 2007 si era pentito ma non aveva mai ammesso di aver dato l’ordine, e continua a dirsi innocente mentre da più di un anno gli è stato revocato il programma di protezione con tutti i benefici annessi.
Anche il Tribunale del Riesame ha sposato la tesi degli inquirenti, accogliendo anche l’appello contro l’unica ordinanza chiesta dal pm ma respinta dal gip.
Eppure i dubbi di Don Cozzi restano e a suo avviso per la procura di Salerno «ci sarà ancora tanto da lavorare».
Così tra la seconda edizione delle “Toghe lucane”, sugli autori dell’anonimo che prendeva di mira Woodcock, e l’epilogo della prima condotta dal pm Luigi De Magistris, ritornano nomi di magistrati come Vincenzo Tufano, Giuseppe Chieco, Iside Granese, Gaetano Bonomi, Felicia Genovese e il marito Michele Cannizzaro. Ritornano imprenditori, pochi in realtà, come i Vitale e Giovanni Castellano, assieme al policorese Franco Ferrara, coinvolto nello scandalo soprannominato Totalgate sugli appalti pilotati per le estrazioni di petrolio a Corleto Perticara e dintorni. Ritornano i politici come Filippo Bubbico e Salvatore Margiotta, assieme ad Agatino Mancusi, Luigi Scaglione e Rocco Lepore, coinvolti nelle inchieste sui voti dei clan. Ritornano le «tracce dei grembiuli», che sarebbero le ombre di massoni più o meno in sonno e dei loro affari. E ancora avvocati, poliziotti ed ex 007 coinvolti in intrighi e tentativi di “azzoppare” il lavoro dei buoni.
Don Cozzi rinuncia ai toni da anatema, ma a chi parla di complottismi e dietrologie senza senso attribuendole a giornalisti e magistrati, anche se soltanto in maniera indiretta, replica mostrando nuovi elementi, nuovi spunti, indizi che vanno nella stessa direzione. Ed è come se li sfidasse a confrontarsi su questi.
E non mancano le vittime ancora senza giustizia: come Vincenzo De Mare e Maria Antonietta Flora. Il vicepresidente di Libera Basilicata affida ai “Poteri invisibili” nomi e trame mai svelate prima, che sono state a lungo sul tavolo degli inquirenti, ma non hanno trovato i riscontri necessari per finire in un aula davanti al Tribunale.
«La storia di sempre». Abbastanza per far rabbrividire anche un habituè delle atmosfere più noir come Carlo Lucarelli, riuscendo a risvegliare la sua coscienza civile.
l.amato@luedi.it
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