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PARLA della Matera che tutti conosciamo, con occhi con cui noi non l’abbiamo mai guardata. Josefh Grima, allo sprint finale del dossier per la candidatura a capitale della cultura 2019 che verrà presentato a settembre, è a Potenza per l’ultimo (non per importanza) tassello mancante del suo lavoro: capire il rapporto tra le due città capoluogo. Perché la grande sfida a cui si sta dedicando passa anche dal coinvolgimento di tutto il territorio regionale.

Nella sua visita alla redazione del Quotidiano della Basilicata, il direttore artistico ci mette poco a trasferire l’entusiasmo e il carisma di un progetto destinato a proiettare Matera in un futuro di grandi opportunità.

Le carte per vincere – Grima ne è convinto – la città lucana ce le ha tutte. Ma al di là dell’esito della candidatura, «è in atto una grande trasformazione, che altre città italiane hanno già conosciuto. E questo è il momento di Matera».

E se c’è un fattore che rende particolarmente competitiva la Città dei Sassi – spiega l’architetto nella sua cadenza italo inglese – è proprio un modello culturale da costruire ex novo; la consapevolezza e l’entusuiasmo che si sono venuti a creare intorno a questo percorso di crescita, avvertito proprio come l’occasione di Matera e della regione intera per costruire il proprio futuro.

Una città – dice lui – «con un coraggio incredibile». Escluse fino a questo momento, come tutta la regione, dal progetto italiano. Una città dal grande fascino. «Che fa innamorare, in maniera profonda. Non solo per la sua bellezza, ma anche per il suo carattere. E questo è un aspetto straordinario».

Il modello di cultura che fa da base al progetto di Grima ha un forte potenziale innovativo. Che sta nell’intendere la cultura stessa non come il grande evento,  gli effetti speciali e i fuochi d’artificio. L’artista è un eroe.

Si tratta di un programma culturale tradotto in una serie di iniziative radicate sul territorio che vedono la cooproduzione dei vari settori coinvolti, «con l’idea di trainare a Matera chi lavora sui confini più estremi del nuovo progetto sociale. Portare gli innovatori più radicali, in ambito tecnologico».

La sfida è permeare dell’idea che sta alla base dell’innovazione tecnologica anche la proposta culturale e il modello sociale. Cita l’esempio del progetto di Massimo Banzi per Ivrea. E ribadisce: «Non si tratta dell’effetto speciale, appunto. Ma qualcosa di molto più frugale, tipica del Sud e in particolare della Basilicata». Qualcosa di molto radicato con il territorio e in linea con la sua vocazione.

Del resto – spiega – fino a ora i progetti di capitale della cultura, ultimo esempio quello di Genova (la sua Genova) nel 2004, sono stati basati sulla riproposizione di modelli “classici” ispirati da una visone conservatrice del fare cultura. Con grandi eventi consolidati e fiumi di risorse. «Questo sarebbe impensabile impensabile per Matera. Anche perché le condizioni sono profondamente cambiate rispetto all’Europa pre crisi di dieci anni fa».

«Oggi ci muoviamo in una realtà completamente diversa – aggiunge – E nessuno più di Matera può fare meglio in questo campo». Anche attraverso i simboli della sua eredità identitaria che deve crescere  insieme al progetto. Non non importa se si tratti del pane o del fischietto. L’importante non il che cosa, ma come lo si tratta. Indagandolo nel profondo, senza lasciarlo galleggiare nei luoghi comuni. Il direttore artistico commenta anche la recente graduatoria che ha confinato Matera all’ultimo posto tra le Smart cities candidate a capitale della cultura per il 2019. «Sinceramente, e lo dico da architetto, ritengo con con smart si possa intendere tutto e il contrario di tutto. Non credo che rappresenti una metrica oggettiva. Mentre c’è da dire – aggiunge – che Matera rappresenta uno degli esempi più straordinari di tutto quello che di buono smart city vuol dire. Efficienza e capacità di conservare energia. Penso a esempio al sistema di raccolta delle acque piovane che funzionava attraverso i serbatoi. Si tratta di una sofisticazione straordinaria, che potrebbe essere paragonata a quella delle città della Corea del Sud. Alla base c’è la stessa logica. La città come un sistema complesso. Qualcosa da recuperare e da imparare. Ed esportare nella parte nuova della città. L’idea che sta dietro l’essere smart è espressione dei valori di chi ci abita. Quindi ritengo che la stessa logica sia applicabile anche oggi. La scadenza del 2019 darebbe a questo un grande impulso». Ma soprattutto, Grima sfata un luogo comune: «Questa storia del gap strutturale è un mito assoluto. E’ tra i posti più raggiungibili d’Europa. A soli 40 minuti c’è l’aeroposto di Bari, che è tra  i migliori. Darei qualsiasi cosa per averlo a Genova.

Il problema semplicemente non esiste. La maggior parte delle persone si sposta in aereo. Basterebbe mettere qualche navetta in più e una sistemazione migliore la direttrice Matera-Bari. Più che altro si tratta di una barriera psicologica”.

Poi parla di come sarebbe Matera se la  sua candidatura dovesse essere vincente. «Per me è importante che si tratti del cambiamento meno repentino possibile. Che si presenti quasi come la prosecuzione di qualcosa di naturale, graduale. Del resto, Matera, in questo è avvantaggiata, avendo iniziato questo percorso già nel 2008. Nell’immediato, credo che si verrà molto poco, ci sarà un consolidamento garduale e poi un’accelerazione che però non deve portare nessuno stravolgimento improvviso. Non immaginiamoci il 2019 come il momento in cui arriveranno a Matera tir di roba per consentirci di accogliere il mondo. In questi cinque anni la città dovrà costruire da sola quello che le serviarà». Non certo, non mancheranno le critiche. Lui ne è ben consapevole. In caso in cui dovesse andar male, invece, «non voglio neanche pensarci».

m.labanca@luedi.it

 

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