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POTENZA – I lucani, come nel resto dell’Italia, non si fidano più del sistema sanitario nazionale. È la percezione riportata dal Censis nel rapporto che indaga sul ruolo della sanità integrativa. E a quanto pare anche in Basilicata è in lieve aumento il numero dei pazienti che preferisce pagare di tasca propria i servizi sanitari che il pubblico non riesce a garantire. Ma c’è anche chi rientra in quella cifra di 1,2 milioni di italiani che almeno una volta nella vita ha deciso di andarsi a curare all’estero. Dunque, nonostante la crisi, che di fatto ha penalizzato il servizio nazionale, la spesa sulla sanità è aumentata del 3%. In termini nazionali significa 26,9 miliardi raccolti in tutto il 2013. Ed è un aumento costante che almeno dal 2007 continua senza sosta.

Nello stesso arco di tempo la spesa sanitaria pubblica è rimasta quasi ferma (+0,6%). La logica per cui il cittadino paga di tasca propria quello che il sistema pubblico non è più in grado di garantire è arrivata all’estremo. Gli italiani sono costretti a scegliere le prestazioni sanitarie da fare subito a pagamento e quelle da rinviare oppure non fare.

Così, crolla il ricorso al dentista a pagamento (oltre un milione di visite in meno tra il 2005 e il 2012), ma nello stesso periodo aumentano gli italiani che pagano per intero gli esami del sangue (+74%) e gli accertamenti diagnostici (+19%).

Gli italiani sono costretti a scegliere le prestazioni sanitarie da fare subito a pagamento e quelle da rinviare oppure non fare. Ormai il 41,3% dei cittadini paga di tasca propria per intero le visite specialistiche anche in conseguenza dell’aumento della spesa per i ticket che ha sfiorato i 3 miliardi di euro nel 2013, pari al +10% in termini reali nel periodo 2011-2013. 

Se si vogliono accorciare i tempi di accesso allo specialista bisogna pagare: con 70 euro in più rispetto a quanto costerebbe il ticket nel sistema pubblico si risparmiano 66 giorni di attesa per l’oculista, 45 giorni per il cardiologo, 28 per l’ortopedico, 22 per il ginecologo. Ad ogni territorio poi corrisponde un suo ticket e i suoi tempi d’attesa. Per le visite specialistiche (oculistica, cardiologica, ortopedica e ginecologica) oscilla tra un valore medio minimo di 20 euro al Nord-Est e uno massimo di 45 euro (più del doppio) al Sud. Negli accertamenti diagnostici spiccano i casi della risonanza magnetica del ginocchio senza contrasto e della colonscopia, per i quali il ticket varia tra i 36 euro del Nord-Est e i 60 euro del Nord-Ovest. Una mammografia può avere un ticket minimo di 36 euro al Nord-Est e uno massimo di 48 euro al Nord-Ovest.  «Il fatto che milioni di italiani rinuncino alle cure per motivi economici, mentre chi può si rivolge al privato, sono la conferma ulteriore di un’emergenza sociale che non può essere ignorata», ha commentato il responsabile Politiche della Salute della Cgil Nazionale, Stefano Cecconi. Secondo il dirigente sindacale «trenta miliardi di tagli lineari, in 5 anni, e troppi ticket hanno danneggiato il Servizio sanitario nazionale pubblico. Così il diritto alla salute e alle cure non è più assicurato a tutti, soprattutto nelle regioni sottoposte a piani di rientro.

L’eccessivo peso dei ticket, oltre a far male ai cittadini, ha ridotto le entrate per il Servizio sanitario e favorito il privato». Di fronte a milioni di persone che rinunciano a curarsi, conclude Cecconi, «non basta rendere il sistema più equo, serve e conviene abolire i ticket, con una vera e propria “exit strategy”. Anche così – conclude – salviamo il diritto alla salute».

v.panettieri@luedi.it

 

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