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POTENZA – Hanno chiesto altro tempo gli inquirenti che si stanno occupando dei rimborsi “pazzi” della provincia di Potenza.
Nei giorni scorsi un avviso di proroga delle indagini è stato notificato ai primi nomi iscritti sul registro degli indagati dove figurano diversi tra i capigruppo del consiglio sciolto meno di un mese fa. Un lascito pesante che per qualcuno rischia di tradursi in un processo per peculato. Mica un’accusa da niente.
Nel mirino dei militari della sezione di pg dei carabnieri del capoluogo ci sarebbe un “buco” di qualche decina di migliaia d’euro nella contabilità di alcuni gruppi, incluso quello del Pd che il più grande. Poi acquisti di smartphone e tablet non inventariati, e tanto altro ancora.
Gli atti sono sotto esame da metà giugno quando è apparsa subito evidente la differenza tra la cifra dei soldi elargiti per «rappresentanza, organizzazione eventi, pubblicità e servizi per trasferta» (263mila euro nel 2012), e quella delle spese documentate . Denaro uscito dalle casse dell’amministrazione e destinato ai gruppi consiliari, “scomparso” non si sa bene dove, dato che in archivio non risultano fatture, scontrini o contratti che ne giustifichino l’utilizzo.
Per questo sulle spine, oltre ai funzionari che avevano il compito di controllare e non si sarebbero accorti di nulla, ci sono i capigruppo di diverse formazioni consiliari, inclusi quelle più grandi che hannoper questo hanno goduto anche dei contributi più ricchi.
Oltre allo “scoperto” a quattro zeri per spese “misteriose” o non meglio precisate (dal momento che non risultano rendicontate), i militari si sono accorti anche di un’altra anomalia nella gestione del contributo/rimborso. Alcuni consiglieri, in pratica, avrebbero acquistato a spese del gruppo smartphone e tablet di ultima generazione. Ma nessuno si sarebbe preso la briga di inventariarli tra i beni del consiglio, in quanto strumenti affidati in maniera soltanto temporanea al loro mero utilizzatore. Per questo appaiono destinati a seguirlo verso casa al termine del suo mandato, come se fossero di sua esclusiva proprietà, senza nemmeno il pagamento a titolo di riscatto di una somma equivalente al loro valore di mercato. S’intende, come acquisto di seconda mano. Quindi di solito anche molto basso, quasi simbolico, data la velocità con cui vengono rimpiazzati i modelli sugli scaffali.
Nei mesi scorsi, dopo che erano emerse le criticità nella contabilità acquisita dagli investigatori, molti dei consiglieri si sarebbero già dati da fare per rimediare come potevano. Ma in che modo verrà interpretato il loro attivismo si vedrà più avanti, quando gli inquirenti scopriranno le carte.
Emblematico il caso del due volte presidente Piero Lacorazza, passato dalla Provincia alla guida del Consiglio regionale, che il 2 maggio dell’anno scorso aveva scritto una lettera all’Ufficio finanziario.
«Nella seduta della Giunta provinciale del giorno 7 maggio p.v. (cinque giorni più tardi, ndr) sarà portata in approvazione la delivera di proposizione al Consiglio provinciale del Regolamento relativo alle spese di rappresentanza».
Così esordiva Lacorazza spiegando che il nuovo regolamento avrebbe fornito «in maniera univoca» le direttive per interpretare le leggi in materia di spese di rappresentanza e contributi vari all’attività politica di un’assise come quella di Piazza Mario Pagano.
«In tale ottica di forte rigore attivato da questa amministrazione – scriveva ancora Lacorazza – chiedo che tutte le spese di rappresentanza liquidatemi in passato e precedenti al regolamento in argomento, vengano riesaminate alla luce di tale regolamento e che eventuali esuberi mi vengano addebitati già con le spettanze del corrente mese».
l.amato@luedi.it
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