Le procedure di soccorso messe in atto nelle gole del Raganello
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A 5 anni dalla tragedia del Raganello la comunità di Civita ricorda le dieci vittime, il sindaco Tocci: “Non dimenticheremo mai”
Un triste anniversario. Sono trascorsi cinque anni da quel tragico 20 agosto 2018 che ha segnato l’intera comunità del Pollino: dieci vite spezzate nel torrente del Raganello. Questa domenica, 20 agosto, l’intera comunità di Civita si stringerà ancora una volta in ricordo delle vittime, insieme all’amministrazione comunale ed alla parrocchia “Santa Maria Assunta”. Per l’occasione sarà celebrata una messa in suffragio dei deceduti dal parroco padre Remo Mosneag. All’unisono si leverà una sentita preghiera davanti l’altare della Misericordia Divina.
TRAGEDIA DEL RAGANELLO, LE PAROLE DEL SINDACO DI CIVITA ALESSANDRO TOCCI
«Quanto avvenne in quel funesto giorno – afferma sulla tragedia del Raganello il sindaco di Civita, Alessandro Tocci – è qualcosa che noi non dimenticheremo mai, così come saremo sempre vicini al dolore incommensurabile dei familiari delle dieci vittime». «Abbiamo lavorato 22 ore in maniera ininterrotta» dichiarava Luca Franzese, responsabile del soccorso alpino calabrese, che in quei giorni stava prestando soccorso. Dieci persone spirarono nelle gole del torrente Raganello ed altre undici rimasero ferite. Una piena assassina in uno tra i borghi più belli d’Italia, da allora luogo dell’atroce mestizia. Il gruppo di escursionisti si trovava a fare rafting nelle gole del canyon. Un fiume di fango travolse tutto e tutti.
Antonio Santapaola e Carmen Tammaro, genitori della piccola Chiara, la bimba salvata dagli uomini del Soccorso alpino, divenuta il simbolo di una strage che si poteva e doveva evitare. Persero la vita anche le amiche inseparabili Myriam Mezzolla e Claudia Giampiero, l’immunologa bergamasca Paola Romagnoli, l’agente di polizia penitenziaria Gianfranco Fumarola, lo street artist romano Carlo Maurici e la sua fidanzata Valentina Venditti, l’avvocato di Giugliano Imma Marrazzo, infine Antonio De Rasis, la guida del gruppo, originaria Cerchiara, che riuscì a mettere in salvo diversi escursionisti del suo gruppo, non tutti e non se stesso. L’allerta gialla, diramata dalla protezione civile che temeva per le forti precipitazioni di quel giorno era stata sottovalutata o forse ignorata visto il “bel tempo”.
LE CAUSE DEL DISASTRO TRA MASSI E DETRITI
Uno sbarramento a monte, probabilmente provocato dalla precedente caduta di alberi e dall’accumulo di massi e detriti, aveva generato una diga naturale che una volta ceduta si era ineluttabilmente riversata come un fiume impetuoso sugli escursionisti. E la strage fu inevitabile. Il soccorso alpino e speleologico della Calabria accorse sin dai primi momenti in quello che, agli occhi di tutti – compresi le centinaia di telespettatori che apprendevano in diretta dai telegiornali la notizia – era uno scenario apocalittico. Un lavoro ininterrotto di ventidue ore con squadre provenienti da tutta la Calabria e dopo poco anche dalle regioni limitrofe, Basilicata, Puglia, Campania, Umbria, per un totale di 50 uomini il primo giorno e 65 il secondo.
A pochi minuti dall’evento, una squadra intervenne all’altezza del ponte del diavolo dove riuscì a liberare dal fango un bambino in vita, e successivamente ad evacuare numerosi superstiti, con la collaborazione di personale del soccorso alpino, della guardia di finanza e dei vigili del fuoco ma anche di carabinieri e carabinieri forestali. Nel frattempo, una seconda squadra a 3 km più a valle, individuò una bambina viva aggrappata a un corpo esanime. La squadra riuscì ad indicare all’elicottero del 118, giunto in area, la posizione per il recupero e la medicalizzazione. Sempre questa seconda squadra rinvenne nella stessa porzione del torrente altri 3 corpi senza vita. Intervennero due medici del Soccorso alpino che stabilizzarono alcuni superstiti, uno dei quali poi fu fatto prelevare dall’elicottero dei vigili del fuoco.
L’INTERVENTO MASSICCIO DI SOCCORSI
Ed ancora, su richiesta del soccorso alpino giunse sul posto anche un elicottero 412 dell’esercito da Lamezia Terme che, insieme ad un tecnico del soccorso alpino, effettuò una immediata ricognizione aerea a valle del ponte della provinciale, però con esito negativo. «Per tutta la notte il nostro personale – continuava così il racconto del soccorritore Franzese – ha ispezionato le rive del torrente sia a valle del ponte del diavolo sia a valle del ponte sulla provinciale. In una di queste ricerche, a 700 metri circa dal ponte del diavolo, intorno alle 23, una nostra squadra ha rinvenuto il corpo della guida Antonio De Rasis senza vita».
«Intorno alla mezzanotte una nostra squadra di forristi, atteso un abbassamento del livello di piena, è riuscita ad entrare nel primo tratto del canyon risalendolo sino alla seconda pozza per verificare la presenza di superstiti ma con esisto negativo. La corrente ancora forte, la scarsissima visibilità dovuta anche alla torbidità dell’acqua ha impedito alla squadra di proseguire. Alle prime luci dell’alba due squadre da soccorso in forra sono riuscite ad entrare nuovamente nel canyon e ad ispezionare il tratto delle gole. Nel frattempo, 4 squadre molto numerose ispezionavano nuovamente entrambe le rive del torrente per verificare la presenza di superstiti giungendo addirittura sino al mare. Sempre il nostro personale, la mattina, è stato imbarcato su elicottero della regione Calabria per effettuare numerose ricognizioni a bassa quota».
TRAGEDIA DEL RAGANELLO, GLI INTERROGATIVI DEL GIORNO DOPO
Il giorno seguente, alle ore 9 del mattino ancora risultavano tre persone disperse ed altre tre squadre di forristi venivano impegnate per ispezionare il tratto superiore delle gole del Raganello giungendo sino a San Lorenzo Bellizzi, bonificando tutti gli otto km di canyon. Dieci bare affollarono la palestra della scuola di Civita, sin da subito assediata dagli inviati della stampa nazionale. Il dolore, la commozione immensa, la visita dell’allora ministro dell’ambiente Sergio Costa. Ancora, gli struggenti funerali e l’inevitabile inchiesta giudiziaria, che portò al sequestro delle gole del Raganello.
Ad oggi, restano e riecheggiano numerosi interrogativi sulle responsabilità della tragedia, resta il racconto di chi ha vissuto quegli attimi ed è sopravvissuto ma soprattutto resta un dolore profondo e un ricordo indelebile di una strage, a tratti, già preannunciata.
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