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BARI – Scricchiola la ricostruzione e, quindi, il rilancio della Banca popolare di Bari, che a meno di un anno dal nuovo assetto perde pezzi: in sole due settimane, si sono dimessi due componenti del collegio sindacale nominati il 15 ottobre 2020 dal gruppo Mediocredito centrale. Il 30 luglio scorso ha rassegnato le dimissioni Luca Aniasi, sindaco effettivo e presidente del collegio sindacale, per ‘motivi personali’, l’11 agosto lo ha seguito un altro componente, Gandolfo Spagnuolo, per ‘incompatibili impegni professionali’.
Pezzi importanti, come ha riconosciuto lo stesso amministratore delegato Giampiero Bergami, ringraziando Aniasi «Per l’importante apporto professionale e per l’impegno profuso durante il suo mandato, in particolare nell’avvio del processo di rilancio dell’istituto». L’addio alla Popolare di coloro che, per mandato, hanno la responsabilità di vigilare sui conti ricorda una circostanza molto simile, verificatasi nell’aprile 2018, e cioé durante la gestione della famiglia Jacobini, quando lasciò l’allora presidente del collegio sindacale, Roberto Pirola, per ‘imprevisti motivi personali’.
Nove mesi prima la Procura di Bari aveva iscritto nel registro degli indagati i vertici della banca, poi finiti agli arresti domiciliari nel gennaio del 2020 per il crac da due milioni che, ritengono gli inquirenti, Marco e Gianluca Jacobini avrebbero provocato, danneggiando migliaia di piccoli risparmiatori. Nello stesso provvedimento, il gip Francesco Pellecchia aveva disposto l’interdizione per un anno dalle funzioni bancarie e dalla dirigenza di società per Vincenzo Figarola De Bustis, già Banca 121, Mps, Deutsche Bank e, naturalmente, Popolare di Bari, di cui è stato prima direttore generale e poi, fino al giorno del commissariamento ordinato nel dicembre scorso da Bankitalia, amministratore delegato. De Bustis aveva lasciato l’istituto nel 2015 ed era tornato come consigliere delegato a dicembre 2018. Oggi, dunque,
Banca popolare che, nelle intenzioni di Giampiero Bergami dovrebbe diventare la «Banca del sud» si trova a rifare i conti, mentre sullo sfondo si accendono nuovi segnali di allarme. Proprio il ruolo delicato svolto dal collegio sindacale, organo di controllo contabile, riporta alta l’attenzione su un istituto di credito che da anni tenta di risanare danni gravissimi: anni di gestione irregolare, bilanci in perdita, prestiti anomali, aggravati dall’acquisizione di Tercas. La prima indagine sulla gestione Jacobini, i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria del comando provinciale di Bari che, su incarico del pm Roberto Rossi arrivano fino a Roma, nella sede della Banca d’Italia per acquisire documenti, poi gli arresti e il commissariamento di Bankitalia. Sono loro, Antonio Blandini ed Enrico Ajello, i due commissari nominati il 13 dicembre 2019, che il 29 agosto 2020, una settimana dopo averla convocata, improvvisamente revocano l’assemblea che doveva servire ad eleggere il nuovo consiglio di amministrazione e il collegio sindacale per il rilancio della banca, dopo il salvataggio pubblico e la trasformazione in società per azioni decisa a giugno 2019.
La motivazione ufficiale è che non erano pervenute nei termini indicati le proposte di deliberazione, mancavano in sostanza le indicazioni dei nomi da parte degli azionisti. Strano, perché a luglio l’amministratore delegato di Mediocredito centrale (azionista di maggioranza della Popolare, detenendo il 96,8 per cento) Bernardo Mattarella, aveva dichiarato: «Bisogna procedere rapidamente alla nomina degli organi sociali di Banca popolare di Bari per dare immediata attuazione al piano industriale, si può fare anche ad agosto».
Ma nel frattempo si consuma un altro giallo: il 1 settembre esce di scena Paolo Alberto De Angelis, uomo di Mediocredito centrale, indicato come direttore generale il 22 febbraio 2020 dai commissari straordinari, proprio “in virtù del gradimento espresso dal Fondo interbancario di tutela dei depositi e da Mediocredito centrale.” Improvvisamente, l’ingegner De Angelis, proprio quando lavorava per il riassetto di conti e incarichi, scopre improvvisamente che il suo contratto, scaduto il 31 agosto, non sarà rinnovato.
Non nasconde il suo stupore nemmeno quando viene intervistato, ancor più per il fatto che l’altro uomo di Mediocredito nella governance, Cristiano Carrus, capo del settore finanziario, proseguirà il suo incarico. Ma De Angelis non resterà a lungo senza poltrona perché verrà nominato responsabile del Fondo salvaguardia imprese, sempre di Invitalia. Al suo posto arriva Giampiero Bergami, tuttora in carica. Sullo sfondo di un sistema di potere, a tratti oscuro, si consuma un’altra singolare vicenda. Quella che riguarda l’ex amministratore delegato Vincenzo De Bustis e il manager Luca Sabetta, alto dirigente della Popolare di Bari, all’epoca della prima indagine a capo dell’ufficio controllo rischi. Fu proprio Sabetta, accortosi di vistose anomalie nella gestione di conti correnti e operazioni sospette, a denunciare tutto alla Procura. Testimone chiave dell’inchiesta, fu per questo prima mobbizzato e poi licenziato ‘per giusta causa’.
Era stato assunto alla Banca popolare di Bari nell’ottobre 2013 dall’allora direttore generale De Bustis: il banchiere, chiamato a testimoniare nella causa di Sabetta contro l’istituto per ottenere il reintegro (poi ottenuto), avrebbe reso dichiarazioni mendaci ai giudici del lavoro. Per questo, nelle scorse settimane è stato rinviato a giudizio, su richiesta dei pm Roberto Rossi (lo stesso magistrato che indaga sul sistema Banca popolare) e Savina Toscani. Il processo a suo carico, per falsa testimonianza, comincerà il 2 febbraio 2022. De Bustis per ben tre volte non si era presentato in udienza, dove era stato convocato come testimone, e lo aveva fatto poi il 31 gennaio 2019, un mese dopo essere rientrato nella governance dell’istituto.
Al giudice del lavoro aveva dichiarato che Sabetta, chief risk officer, «Non doveva occuparsi di tutte le operazioni di aggregazione con altri gruppi bancari – smentendo in tal modo le accuse del manager, riferite all’acquisizione di Tercas. In realtà, nel 2013, era stato proprio lui, in qualità di direttore generale e recependo una circolare di Bankitalia, ad attribuirgli potere di veto sulle ‘operazioni di maggiore rilievo’, come l’acquisizione di Tercas. Ma c’è di più: De Bustis in tribunale aveva anche precisato che Sabetta non poteva opporre il suo veto ad «Operazioni strategiche come acquisizioni, o aggregazioni o fusioni». Intanto, i guai della Banca popolare di Bari si allargano a macchia d’olio coinvolgendo altre realtà italiane: proprio due giorni fa, il presidente dell’Anci Abruzzo, Gianguido D’Alberto, ha scritto al presidente del Consiglio Mario Draghi, ai ministri per lo Sviluppo economico e per il Sud e la coesione territoriale, Giancarlo Giorgetti e Maria Rosaria Carfagna, esprimendo «Forte contrarietà in merito alle decisioni scaturite dal piano di ristrutturazione aziendale della Banca popolare di Bari – si legge – che penalizzano oltre misura la rete di filiali e agenzie del territorio abruzzese».
Si riferisce alla comunicazione inviata dall’istituto barese ad alcuni Comuni, della chiusura di alcune filiali. «L’indirizzo intrapreso – scrive ancora D’Alberto – non appare né corretto né adeguato ad un rapporto con un territorio cui la Banca popolare di Bari deve molto, considerato che l’ingresso della Tercas e di Caripe è stato ed è una opportunità preziosa per l’intero gruppo bancario. E sottolinea come ci sia «Un dovere forte, un conto aperto, che deve sensibilizzare la banca ad intensificare i rapporti con un territorio ferito, che ha dato tanto, che continua a dare tanto e che non merita ulteriori schiaffi».
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