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BARI – E’ passata un’altra estate ma per gli ex azionisti della Banca popolare di Bari nulla è cambiato. Dopo il crac dell’istituto, che ha portato da un lato al salvataggio da parte di Medio credito centrale, dall’altro a un processo che vede imputata la storica dirigenza, resta da sciogliere un nodo: verranno mai risarciti i circa 70.000 ex azionisti che in passato hanno investito tutti i loro risparmi?


Finora le proteste, le richieste, le proposte fatte sono tutte cadute nel vuoto, ma parliamo di uomini e donne che in quella che doveva essere la Banca del Sud hanno perso cifre importanti. Come arrendersi allora?
«Continuiamo a scrivere alle istituzioni – spiega il presidente del Comitato indipendente degli azionisti, Saverio D’Addario – ci siamo rivolti al presidente Emiliano, al sindaco Decaro che, dopo la disponibilità iniziale ha mostrato indifferenza verso le nostre sofferenze, mostrando più attenzione verso i problemi di altri comuni che verso il proprio».


E allora si guarda a Roma. «Stiamo organizzando – dice D’Addario – una marcia su Roma per la fine di settembre. I nostri obiettivi sono Mediocredito centrale e la Banca d’Italia. Da loro vogliamo risposte sull’attuale gestione ma anche sui soldi bruciati, senza nessuna vigilanza, dall’Istituto. I nostri soldi».
Gli azionisti della Popolare di Bari si trovano in una situazione molto particolare. I “colleghi” delle banche venete, per esempio, hanno avuto la possibilità di accedere al Fir (Fondo indennizzo risparmiatori), nato nel 2018 proprio per risarcire «i risparmiatori danneggiati dalle banche e loro controllate, poste in liquidazione coatta amministrativa». Ma la Popolare di Bari non è stata liquidata, c’è stato un salvataggio da parte dello Stato e, paradossalmente, questo ha danneggiato gli azionisti che, infatti, al Fir non possono accedere.


Tra le proposte fatte negli ultimi mesi da qualche esponente del Movimento 5 Stelle c’era anche quella di ampliare a questa platea piuttosto numerosa il Fir. Ma la proposta, per ora, tale è rimasta e agli ex azionisti della BpB non è stato concesso alcunché. Per questo si sono trovati quasi a sperare in un fallimento, che aprirebbe loro questa strada. Ma lì si andrebbe ad aprire un buco da un’altra parte. Perché molti di loro, oltre alle azioni, avevano acquistato anche delle obbligazioni (titoli che impegnano la banca emittente al rimborso del capitale e alla corresponsione degli interessi, sulla base di un tasso fisso o variabile, nel corso della durata del titolo, ndr.). E il fallimento della banca potrebbe far perdere anche quei soldi.
«Che è la nostra paura attuale – dice D’Addario – perché la Popolare di Bari entro la fine dell’anno dovrà versare all’incirca 280 milioni in obbligazioni. Ce li avrà i soldi? Dalle notizie che abbiamo noi, l’istituto registra circa 20 milioni al mese di perdite. E anche su questo fronte noi non stiamo tranquilli, anche se è vero che a giugno hanno pagato degli interessi su alcune obbligazioni».
Per avere un quadro più chiaro, il Comitato indipendente degli azionisti ha anche presentato una richiesta di accesso agli atti dopo l’ultima assemblea dell’Istituto, che si è tenuta a giugno. «Quella a cui avevamo espressamente chiesto di partecipare, ma dalla quale siamo stati esclusi. E noi abbiamo manifestato sotto la sede principale».


E non rassicurano anche altre notizie. La prima riguarda la continua chiusura di sportelli in diversi comuni, anche se questa è ormai la logica di tutti i grandi gruppi: spogliare di ogni servizio tutti i piccoli centri. La seconda notizia che preoccupa non poco riguarda il futuro di Monte dei Paschi. Perché, tra le ipotesi sul tavolo, ce n’è una che coinvolge proprio il gruppo barese. Unicredit sta studiando l’acquisizione parziale dell’istituto senese per rafforzare la propria presenza soprattutto nel centro-Nord. E potrebbe delinearsi il passaggio, almeno delle filiali del Sud, a Mediocredito centrale e Popolare di Bari. E qui è ancora piuttosto vivo il ricordo dell’acquisizione della Tercas, che ha segnato il punto di non ritorno dell’istituto. Fino a quel momento le azioni venivano vendute anche a 9 euro. Oggi valgono 6 centesimi «ma – dice D’Addario – non sono neppure commerciabili. Se pure volessi venderle, per chiudere con questa storia una volta per tutte, neppure sarebbe possibile».


Gli ex azionisti finora non sono rimasti con le mani in mano, non hanno solo protestato, ma anche proposto. Tra le tante: «Una proposta di legge che ci dia la possibilità di accedere a 500 milioni annui rinvenienti dai Conti dormienti». Oppure trasformare le azioni in obbligazioni anche a lungo termine o anche «visto che di fatto è lo Stato ad aver salvato la Popolare di Bari, studiare un sistema di detrazione dalle tasse, simile a quelle concesse per le opere di ristrutturazione edilizia e di efficientamento energetico».
Da parte dell’Istituto, invece, è arrivata una sola proposta, definita da subito inaccettabile: «L’amministratore delegato ha praticamente detto che più di 4 milioni di euro per gli azionisti non ci sono. Quindi è stato stabilito un tetto massimo di rimborsi (30.000 euro) e la valutazione di ogni azione a un prezzo stracciato: 2.38 euro. Ma secondo precise condizioni: per accedere bisogna essere affetto da una grave patologia o essere disoccupato o avere un Isee non superiore ai 15.000 euro. Ma che c’entra tutto questo? Quando abbiamo investito non è che chi aveva un Isee più basso ha pagato di meno».
Su tutto questo c’è poi la spada di Damocle dei processi. Non essendo possibile fare una class action, ognuno ha avviato un’azione individuale contro l’ex dirigenza.


Per mesi il processo per il crac, che vede alla sbarra gli ex amministratori Marco e Gianluca Jacobini, è stato rinviato per cercare una sede idonea, capace di ospitare, oltre agli imputati, circa 3mila parti civili rappresentate da poco più di 250 avvocati. «E anche su questo fronte non abbiamo molte speranze – dice D’Addario – perché in effetti si sta puntando alla prescrizione. In questi mesi ci sono state poi tante sentenze che hanno dato tutte torto dall’Istituto, ma finora nessuno ha riavuto i soldi che anche una sentenza di Tribunale ha sancito. E dobbiamo, nel frattempo, sperare che la Banca resti in piedi».

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