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POTENZA – Temeva per la sua vita: per questo si è incontrato tre volte con i carabinieri e si è convinto persino a mettere a verbale le sue accuse. Ma alla fine la sua collaborazione con la giustizia non è mai partita.

C’è anche una “gola profonda” negli atti dell’inchiesta dei carabinieri del reparto operativo di Potenza sulle imprese dei Barbetta di Rionero: i due fratelli Aniello e Donato, più il padre Rocco Gerardo, noto pregiudicato del posto.

Le sue dichiarazioni, «nelle quali illustrava lo scenario criminale in cui si muoveva l’associazione di riferimento, ovvero la compravendita di stupefacenti con criminali del “foggiano”, le rapine con assalti ai portavalori, la compravendita di armi» avrebbero trovato «ampia  conferma nelle indagini svolte» dai militari al comando del capitano Antonio Milone.  

Ma una vera dissociazione dal gruppo non ci sarebbe mai stata e a marzo anche lui, S. D., ha ricevuto un avviso di conclusione delle indagini per estorsione ed armi.

A causare la frizione all’interno del gruppo che ha scatenato le minacce e la “fuga” dai carabinieri del nucleo operativo radiomobile di Melfi sarebbe stata la demolizione di una Bmw 330.   

I suoi reali proprietari sarebbero stati Rocco Barbetta e Giovanni Plastino, che oggi è in carcere per mafia ed estorsione, ed è accusato assieme ad Aniello “Daniele” Barbetta anche del tentato sequestro, nel 2012, di Silvio Fanella: il cassiere della banda Mokbel trucidato agli inizi di luglio durante una “riedizione” di quel colpo fallito. 

Sarà stato perché era l’avevano presa a saldo per un vecchio debito di droga da un loro “cliente”, o perché Plastino non aveva neanche più la patente, ma nessuno di loro due se l’era voluta intestare, anche se a utilizzarla sarebbe stato sempre e solo Palstino.

«Ho detto più volte a Rocco Barbetta di non voler più l’intestazione della Bmw perché sapevo che con la stessa potevano commettere delitti e la responsabilità poteva poi ricadere su di me».

Queste sono state le parole della gola profonda messe a verbale dai militari.

«So che nell’aprile del 2012, al Plastino durante un posto di controllo dei Carabinieri di Rionero, venne intimato l’alt e lui, guidando senza patente, ha forzato il dispositivo facendo perdere le tracce».

Così prosegue il suo racconto. «In quella circostanza il Plastino mi portò la macchina dicendomi di nasconderla (…) Successivamente, lui è venuto da me dicendomi espressamente di consegnargli l’auto (…) mi ha costretto a dargliela altrimenti ci sarebbero state serie ripercussioni sulla mia persona. Oltre a dargli l’auto sono stato costretto anche a  consegnargli 200 euro per riaverla avendo intenzione di demolirla, cosa che  effettivamente ho fatto il giorno dopo».

E qui cominciano i problemi con Barbetta. «Dopo circa una settimana, ebbe a presentarsi sotto la mia abitazione Rocco Barbetta che pretese 2mila euro come contropartita per la macchina che avevo fatto demolire. Io, avendo paura del Barbetta, persona molto violenta, gli ho consegnato un acconto di Euro 200».

Ma Barbetta voleva di più e S. D. ha cominciato ad avere paura: «Temevo che lo stesso potesse chiedermi di commettere qualche reato come contropartita (…) ha iniziato a minacciarmi dicendomi “mo’ ti faccio vedere chi sono io”, “vedrai che fine che ti faccio fare”».

A un certo punto Barbetta avrebbe provato anche ad entrare in casa sua con la forza, ed è stato allora che è partita la chiamata ai carabinieri.

«Denunciava  verbalmente di essere stato seriamente minacciato di morte». Hanno annotato i militari. Ma quando si è trattato di mettere la firma sotto il verbale il quasi-pentito si è tirato indietro.

l.amato@luedi.it

 

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