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POTENZA – Restano in carcere Aniello “Daniele” Barbetta e il presunto mandante del tentato sequestro di Silvio Fanella, il cassiere della “banda” Mokbel ucciso agli inizi di luglio durante una specie di riedizione del colpo fallito nel 2012.
Lo ha deciso il Tribunale del riesame di Roma che ha respinto il ricorso del legale del 23enne di Rionero, l’avvocato Davide De Caprio, dopo quello del 40enne romano Roberto Macori, accusato di essere stato l’«ideatore» del piano, e già considerato tra i membri più fidati della banda dell’imprenditore “nero”.
Con loro tra i destinatari dell’ordinanza di misure cautelari chiesta dai magistrati dell’Antimafia romana è finito anche un altro lucano: il 34enne Giovanni Plastino, già detenuto a causa di una condanna definitiva per mafia ed estorsione con il clan Cassotta.
Mentre restano “nel mirino” Roman Mecca e Antonio Silvano: 2 nomi già comparsi negli atti dell’inchiesta Enrico VI condotta dai carabinieri del reparto operativo di Potenza, al comando del capitano Antonio Milone.
Anche il primo, infatti, sarebbe stato nel commando entrato in azione ad agosto di due anni fa: mentre l’altro si sarebbe tirato indietro qualche giorno prima, ma potrebbe essere comunque a conoscenza di nomi e dettagli del piano per rapire il cassiere della banda Mokbel.
Inoltre nelle ultime settimane sarebbe stato identificato dalla voce anche un altro degli uomini entrati in azione assieme a Barbetta, Mecca e a una coppia di «finanzieri», veri o presunti, che a luglio potrebbero essere tornati sui loro passi dal momento che secondo quanto avrebbe riferito la cugina di Fanella, gli uomini arrivati a casa sua per prelevarlo si sarebbero qualificati come agenti della Fiamme gialle. In più avrebbero lasciato dietro di sé anche dei fogli con l’intestazione della Guardia di finanza, che sarebbero dovuti servire per convincerlo ad andare con loro, assieme a una borsa con delle fascette di plastica da elettricista.
Il «Piero» o «Giampiero» registrato dalle microspie piazzate nella Bmw di Barbetta sarebbe in realtà «Giampietro Agus», un personaggio di peso nella malavita romana, arrestato nel 2001 assieme a “don” Carmine Fasciani, che è considerato l’erede dei boss della banda della Magliana, protagonisti di “Romanzo criminale”.
Sarebbe stato Agus a doversi occupare assieme a Plastino di picchiare Fanella fino a fargli confessare il nascondiglio del tesoro della “banda”. E non a caso parlando con Barbetta che era infastidito dal suo modo di fare, il 34enne lucano l’aveva indicato come un ex della «banda della Magliana».
Per gli inquirenti ci sono «numerose similitudini» ed «evidenti collegamenti» tra il tentativo di sequestro finito con l’omicidio di Silvio Fanella e quello sventato dai carabinieri ad agosto del 2012. In particolare il ruolo di due «finanzieri», veri o presunti: una coincidenza tanto più importante se si pensa che era l’unico dettaglio rimasto a conoscenza soltanto degli addetti ai lavori – oltre che degli autori del primo tentativo di sequestro – dopo le notizie apparse a fine maggio sul Quotidiano della Basilicata.
Poi c’è il movente che in entrambi i casi sarebbe stato il desiderio di impossessarsi del “tesoro” di Fanella, custodito nella sua casa di campagna: 34 sacchetti di diamanti, vari orologi preziosi più 284 mila dollari e 118mila euro in contanti nascosti nelle scatole di gelato. Una fortuna scoperta soltanto dai militari del Ros poche ore dopo la sua morte.
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