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LA crisi economica rischia di produrre altre vittime: i lavoratori nelle raffinerie che a Gela ieri hanno manifestato contro la chiusura. Si tratta di un settore strategico per l’economia di tutto il Paese che, ad esempio, attraverso la raffineria Eni di Taranto, ha uno stretto legame con il petrolio lucano e quello che sarà estratto a Tempa Rossa. Per questo, insieme alla richiesta che viene dalla nostra organizzazione di categoria, la Uiltec, di un urgente tavolo sul settore della raffinazione in Italia, con imprese e governo, si rilancia l’esigenza di un piano strategico per non farci trovare impreparati ad affrontare il profilo industriale di Eni in Italia, sia per la estrazione che per la raffinazione, che per la chimica.
Il Governo è l’azionista di riferimento dell’Eni, quindi chiediamo che svolga la sua funzione di azionista di riferimento e che faccia valutare bene all’Eni le conseguenze sociali ed economiche che una scelta di deindustrializzazione comporterebbe soprattutto per il Mezzogiorno dove le attività produttive sono ridotte al lumicino. Gli analisti sostengono che «Eni sarà sempre più oil company, come le major americane: quindi più cassa, più barili e più utili».
E meno conglomerato, retaggio dell’epoca delle Partecipazioni statali, poco sostenibile nella fase attuale. Bisogna arginare le perdite: riconversione spinta delle raffinerie che perdono 750 milioni l’anno, con conversione di molte di esse in depositi di derivati del greggio, accelerazione sulla chimica “verde”.
Lo abbiamo detto nel nostro congresso regionale: è tempo di pensare alla definizione di nuove linee produttive di sfruttamento in loco dei derivati, con microinterventi nella “chimica fine” e dei nuovi materiali, delle bioplastiche, del farmaceutico e del biosanitario.
Immaginiamo un data-center meridionale, il gemello di quello avviato dall’Eni a Pavia un anno fa mentre nelle scorse settimane è stato inaugurato a Porto Torres, in Sardegna, il primo impianto di chimica verde Matrìca, joint venture tra Versalis (Eni) e Novamont. L’avvio di questo progetto è la dimostrazione che la sostenibilità del mondo chimico è concreta e che la ricerca applicata può dare veri risultati di recupero industriale ed occupazionale.
Un potenziale produttivo di questo pacchetto può arrivare a generare occupazione, da noi, sino a 2000/3000 unità, senza prendere per buona la “promessa” dei 25mila posti diffusa dal precedente manager Eni e dagli uomini di Assomineraria. Ci chiediamo perché non riportare nei nostri canali locali più gas di quello prodotto in loco. Tanto, troppo gas viene immesso nella circolazione nazionale.
Poco, troppo poco nella rete locale dei nostri territori. Ma soprattutto continuiamo a credere nella opportunità di sostenere la ricerca e lo sviluppo di tecnologie per la produzione di energia geotermica a bassa temperatura, sfruttando le perforazioni del petrolio e del gas naturale e sperimentando i metodi e le tecnologie più idonee allo sfruttamento del giacimento termico alla profondità dei pozzi petroliferi di Basilicata.
E ciò per ricavare energia, pulita e costante nel tempo. L’essenziale è che si lavori con discernimento ad individuare vantaggi localizzativi e che, sul merito delle tematiche estrattive, si adotti il linguaggio della chiarezza, rinunciando ad alimentare allarmismi, a scartare sulla demagogia, a cambiare di volta in volta la parte in commedia.
La battaglia orgogliosamente intrapresa dal Presidente Pittella per rompere le mura di Gerico del patto di stabilità per lo meno sull’impiego delle royalties è un atto di determinazione nel quale ci riconosciamo tutti e nel quale vediamo il punto di innesco di una ridefinizione del patto politico tra Stato e Regione: una ridefinizione tanto più necessaria ed urgente, considerata la volontà del governo di rivedere l’impianto del Titolo V e di recuperare allo stato la piena potestà in materia di energia. Essa però richiede un’oculata strategia a breve, medio e lungo termine, chiamando in causa prima di tutto il Governo Renzi.
Per noi il nuovo corso di Eni deve mantenere al centro i progetti di green chemistry già presentati, il valore della ricerca per innovare, ed il sistema di relazioni industriali che resta il valore aggiunto per la gestione di questi processi.
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