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SCRIVEVA bene Marco Percopo a proposito dell’Ilva di Taranto. Se mettiamo a confronto i salari che la città di Taranto riceve dall’acciaieria con i costi ambientali annuali più o meno pari se ne deduce che l’industria non produce valore aggiunto sociale per il territorio. Se anche dunque ammettessimo che l’acciaio serve al Paese non è chiaro perché la siderurgia debba essere considerata strategica per Taranto.
Proviamo a fare lo stesso ragionamento per Potenza. In questi tre giorni successivi al sequestro della Sider abbiamo sentito molte parole urlate. Quelle degli operai, innanzitutto, che si trovano nel pieno di una dramma. Le uniche legittime. Quelle qualunquistiche di molta politica che all’ingrosso fa più o meno questo ragionamento: è responsabile chi ha consentito gli insediamenti abitativi negli anni in quella zona. Chi non ha controllato e, certamente, i delegati regionali all’ambiente. L’ultimo, in ordine d’arrivo, Berlinguer.
Gli insediamenti. Il problema del raggio inquinante non può certo essere circoscritto a una zona, quella di Bucaletto, nata, tra l’altro, a ridosso di un’immane tragedia umana e abitativa, il terremoto. A meno che qualcuno non pensi di voler fare lì un lazzaretto, per giunta con gli operai dentro. Dunque il problema dell’insediamento abitativo è malposto. Comune a quasi tutte le città con insediamenti industriali. Non storicizzato. Trent’anni fa di certo non c’era la cultura ambientale poi maturata. A Brescia l’inceneritore è alle porte della città.
Il vero dato preoccupante che balza fuori dall’inchiesta giudiziaria è che un consulente del pm riesce a fare quello che il plotone di chimici e ingegneri, dagli organismi regionali agli istituti cui sono state affidate consulenze, non erano riusciti a fare. Nessuno si era posto il problema della traiettoria del flusso di fumi, pur aspirato dalla cappa, attraverso feritoie. Dati incerti, contraddittori, analisi da reiterare, lungo periodo da monitorare. Nell’ultimo anno ne abbiamo sentito di tutti i colori, mai una consapevolezza certa. A un certo punto arriva un magistrato e impone delle prescrizioni. Le quali sono davvero cosa modesta, in termini di sforzo finanziario, rispetto all’investimento fatto dall’impresa. Dunque, prima di gridare sarebbe opportuno che si leggessero le carte, gli atti (tutti pubblicati da questo giornale) per rendersi conto che se c’è un bisogno al quale la Sider non può rinunciare è quello di far tornare al più presto i lavoratori in fabbrica. Si tratta di eseguire lavori ritenuti necessari. Visto che il pm non ha problemi elettorali non si pone il problema dello stop dell’impianto. Cosa che, probabilmente, doveva essere fatta davanti ai risultati comunque allarmanti che nei mesi scorsi erano stati consegnati. Chi si sarebbe assunto la responsabilità di mandare a casa, anche se per breve tempo, trecento operai? Quegli stessi che in questi giorni stanno andando a offrire la loro solidarietà ai lavoratori?
Ci sono poi due valutazioni ulteriori. La prima riguarda il rapporto di fiducia tra i cittadini e il sistema di controllo ambientale. Quando interviene un magistrato questo rapporto è già rotto. Già l’Arpab aveva un problema di reputazione dopo lo scandalo Fenice. Eppure l’Arpab un allarme lo aveva lanciato. L’Istituto superiore di sanità aveva assunto una posizione attendista. Nessuno si era però spinto fino ai camini. Nella confusione di pensieri e nella approssimazione della conoscenza dei dati ai cittadini rimane la mesta sensazione di non essere garantiti. Quando Vita se n’è andato, in un’intervista al Quotidiano, denunciò il meccanismo di funzionamento dell’agenzia eterodiretto dal dipartimento ambiente della Regione. Dal canto suo l’assessore Berlinguer non è stato per nulla tenero con l’agenzia. Quindi non si capisce chi dovrebbe dimettersi.
C’è infine una visione di sistema che sembra mancare alla politica e di chi sembra invece essere ben provvisto il pm. Il quale ha nominato lo stesso consulente, dall’inchiesta del centro oli di Viggiano alla SiderPotenza. Serve il petrolio alla Basilicata? Mi sono espressa più volte. Sì. Ed è una fortuna averlo. Serve all’Italia, deve servire, in termini di compensazione, alla Basilicata. Serve la siderurgia a Potenza? Qui avrei dei dubbi. Dubbi che sicuramente non ha mostrato di avere il nuovo sindaco di Potenza, l’ingegnere De Luca, consulente della Sider. Il quale, da me interrogato in campagna elettorale, con molta trasparenza ha affermato che un imprenditore dopo aver fatto quel tipo di investimento non può certo pensare di delocalizzare. Ed è un pensiero, legittimo. Discutibile ma legittimo. Dobbiamo però avere una visione globale e territoriale unitaria. Non si può dire sì alla Sider, ad esempio, e no a Tecnoparco. Non possiamo porci il problema degli abitanti di Pisticci e non di quelli di Potenza. Allora, per ritornare al ragionamento che faceva Percopo, ribaltiamo la questione. Così come chiediamo alle compagnie petrolifere di risarcire la Basilicata (e già la parola è impropria, perchè il risarcimento implica un danno) “non è più la popolazione locale a dover rinunciare a qualcosa – la salute – per poter lavorare, ma è la Sider che deve offrire qualcosa in più per operare sul territorio”. Tra l’altro il petrolio è solo qui, o in massima parte qui, la siderurgia in teoria si può anche spostare. Senza chiedere questo, e con la massima attenzione per gli operai e le loro famiglie, cerchiamo di evitare posizioni qualunquistiche. Bene le passerelle di solidarietà, nessuno ha il coraggio però di contestare i magistrati, soprattutto quando i loro provvedimenti sono bocciati. Dobbiamo capire a questo punto le intenzioni dell’azienda. Se i lavori che il Gip chiede sono rinconosciuti da essa come indispensabili, francamente più che fiducia nella magistratura e sfiducia negli organi di controllo, io mi preoccuperei dei signori del vapore.
l.serino@luedi.it
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