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SANT’ANGELO LE FRATTE – A partire dall’anno 1994 vengono concessi a 8 società di piccoli imprenditori del posto 13 lotti nell’area Pip, tutti insistenti su demanio idrico, perché alveo abbandonato dal fiume Melandro.

Con regolare atto di vendita – ma infondato, perché il Comune non aveva titolo a farlo – gli artigiani, sicuri di avere un titolo di proprietà, investono e realizzano i loro capannoni e  diversi impianti finalizzati a diverse attività produttive.  Questi, oggi,  si ritrovano senza titolo di proprietà, perché l’atto, fatto a suo tempo col Comune, non è da considerarsi  valido,  in quanto gli artigiani avrebbero costruito abusivamente su un suolo non “sdemanializzato”.

I piccoli imprenditori, non solo, non sono proprietari del suolo, ma neppure degli immobili che vi insistono. Se volessero comprare, dovrebbero acquistare dall’Agenzia del Territorio non solo il suolo ma anche gli immobili ivi costruiti. L’esborso sarebbe enorme. Quindi è impossibile. Possiamo immaginare i danni economici: nessuno ha potuto accedere al credito o a eventuali contributi messi a disposizione della regione. Non avendo il titolo di proprietà, gli artigiani, non per colpa loro, non hanno mai pagato l’Ici poi l’Imu, perché ufficialmente non titolari di immobili. Questa situazione dura da 20 anni.

Eppure l’ufficio tecnico comunale, nel 2005, stava per concludere  l’iter di “sdemanializzazione” dell’ex alveo fluviale, già cominciato nel 2003. «Mancava solo un documento – dice Giuseppe uno degli  imprenditori – per completare la pratica, ma il tutto misteriosamente si bloccò». Di chi la responsabilità? Dell’ufficio tecnico? Dell’amministrazione del tempo? O forse di entrambi? A noi non è dato sapere.

I fatti dicono che nel 2002 i fratelli Lavecchia, assegnatari di tre lotti, denunciano per danni l’amministrazione comunale, in quanto non avevano potuto avere accesso al credito, perché di fatto possessori di un titolo di proprietà non valido. Nel febbraio 2014, il tribunale di Potenza, con sentenza di primo grado, condanna il comune a pagare 407.000 euro più spese legali per risarcire i danni ai Lavecchia.

Il sindaco Laurino ci confida, a tal proposito, che l’amministrazione ha ricorso in appello; ma l’esito è da considerarsi quanto mai incerto. Nel 2006, le società affidatarie dei lotti si vedono arrivare, da parte dell’ Agenzia per il Territorio, lettere di ingiunzione perché le stesse non avevano pagato il fitto, proprio perché i loro opifici si trovavano su terreno demaniale.

Si apre un altro contenzioso e  gli imprenditori riescono a bloccare il pagamento del fitto, in quanto dimostrano di essere possessori di atti notarili che attesterebbero il loto diritto di proprietà. Si, ma gli atti stipulati col Comune, anni prima, non son validi. Il problema così si trascina, nel tempo, senza nessuna prospettiva di soluzione.

Con legge, 9 agosto 2013 n. 98, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 194 del 20  Agosto 2013, c’è la possibilità da parte delle amministrazioni pubbliche (comuni, Province, regioni, città metropolitane) di mettere in atto, a titolo non oneroso, il trasferimento dei beni immobili del demanio. Bastava semplicemente fare una domanda e riempire dei moduli. In questa maniera il Comune avrebbe potuto trasferire a sé i lotti del demanio e  in seguito rifare le assegnazioni, riconsegnando, poi, agli assegnatari i lotti di cui sono già, di fatto,  possesori. Era l’occasione per sanare una situazione complessa,  particolarmente delicata e drammatica sul piano economico.

La legge è passata inosservata, nessuno l’ha mai letta in tempo utile, anche perché in vigore solo per tre mesi; in Basilicata, solo il comune di Calvello, facendo tesoro della legge, ha risolto – si dice – i suoi problemi. Qualcuno, però, la legge la scopre, sia pure con ritardo, infatti la stessa scadeva il 30 novembre 2013. Quindi, nessuna delle società ha mai saputo e nessuno ha mai potuto sollecitare l’amministrazione a sanare la situazione nei confronti del demanio.

Gli imprenditori, con amarezza: «E dire che bastava una semplice domandina!». Perciò al danno la beffa per gli artigiani. Cosa rimane da fare? Sperare in una riapertura dei termini della stessa legge. Auspicabile si, ma difficile, se manca la volontà politica.

«Abbiamo ricominciato il lungo iter burocratico  di sdemanializzazione», dice il sindaco Laurino.

I tempi? Sempre Laurino: «Passeranno, come minimo, altri 10 anni». Un futuro incoraggiante, non c’è che dire, per le società che hanno investito senza essere proprietari; al momento, solo tollerati dal non pagare il fitto e l’Imu. Quando si dice che occorre snellire la burocrazia.

 

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