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Iniziò così, raccontando la sua storia. E usando il tu. Un fatto di cronaca gli ispirò il ricordo.Uno storytelling antelitteram. Ma io (e anche il direttore) eravamo della vecchia scuola, distanze, terzietà, anche un po’ di superiorità.
Perciò il “noi” era obbligatorio. La supremazia del cronista concedeva al massimo l’ascolto. E perciò Ennio aveva la sua stanza sempre aperta e a telefono rispondeva a tutti. Ma raccontare i fatti propri e usare il tu, come voleva fare Paride, non era consentito.
Lui dice spesso che io gli ho insegnato il mestiere. Un po’ è vero. Ma se ripenso a quell’espressione che andava sbandierando – giornalismo del XXI secolo – che era poi un’intuizione che era metà sensazione e metà visione che lo misero in fuga dai vecchi schemi mi rendo conto oggi che lui era avanti. Stava sbattendo la porta non solo al suo posto sotto la mitica foto del circolo antifascista, ma anche a un modo di fare giornalismo che nessuno di noi aveva ancora capito.
Concepì un giornale che si faceva con i contributi dei cittadini e poi, qui, in Basilicata, cominciò a “perdere tempo” su Facebook e twitter. Perdere tempo, sì, così mi sembrava, presa dalle 64 pagine quotidiane di carta che dovevo organizzare. La prima diretta twitter la fece il Quotidiano, da Sanremo. Sembra un secolo fa
Le ultime elezioni #regionalibas sono state un’ulteriore verifica social per me e i miei colleghi. Una lunga campagna elettorale di condivisione. Dalla scelta dell’hastag, alla crossmedialità con la quale l’abbiamo raccontata. Ma la cosa più bella è stata concepire la redazione come un luogo aperto: aperto ai contributi di pensiero, alla raccolta dei dati, ma anche alla compagnia.
L’ultimo giorno, la notte dello spoglio. Con le pizze. Non so come hanno fatto i nostri amici che sono venuti a trovarci, ognuno ha portato un gusto diverso. Sembrava si fossero messi d’accordo. Noi al lavoro e loro di spalla, un sostegno, il punto di un cerchio.
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