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Eh no, mannaggia. Non si può iniziare un viaggio nell’innovazione con la nostalgia. La fabbrica del legno di Tito scalo mi fa tornare bambina, quando papà mi portava sul soppalco della industria delle camere da letto dove c’era il suo ufficio di ragioniere. Piallatrici, martelli, masselli e tamburi: il laser per i buchi nelle porte non c’era ancora. Alla Isomax Valentina Mecca me lo mostra con orgoglio. E’ una diplomatica ma ha scelto di lavorare nell’azienda paterna. Cerca sbocchi esteri che non trova. “Che fanno all’ufficio internazionale della regione?

 

Il mio viaggio attraverso la Basilicata che non molla è subito un ibrido, come le auto sulle quali viaggiamo. Motore elettrico e diesel, a seconda delle velocità. Vogliamo vedere, vogliamo conoscere, vogliamo renderci conto. Un po’ scolaresca, un po’ controllori. Quando lasciamo l’area industriale di Tito, Francesco Imbrogno che guida una delle auto di Restartsud guarda sconsolato i padiglioni industriali: “Non è possibile che ci vogliamo sei mesi per un contratto elettrico, o due anni per la metanizzazione”. 

Imbrogno ha una bella azienda a Baragiano, recupera e ricicicla la componentistica di televisori, frigoriferi. Sabato sarà a Potenza con Legambiente nelle scuole per spiegare ai ragazzi come si può aiutare questo maledetto mondo a stare meglio. Il nostro viaggio ad Atella respira aria di coraggio. Alla Cmd finalmente ci dicono: qui non c’è crisi. Producono motori, sperimentano, non è solo componentistica ma è prodotto ultimo, collaudato, completo. Auto, barche e ora Francecso Iantorno ci prova con gli aerei. “Mi sono laureato in Basilicata, potevo lavorare a Torino, alla Fiat. Ma quando mi sono visto in una stanza con tanti ingegneri mi sono angosciato. No, mi sono detto, torno giù, voglio sentire il rumore del motore in fabbrica”. E così i fratelli Negri per i quali lavora e innova, casertani naturalizzati lucani, danno lavoro a circa duecento persone e accumulano primati italiani. Le imprese? Bisogna investire nella ricerca, più che dare piccoli contributi a pioggia. Loro sono nati con la 219, e finalmente possiamo scrivere che il dopoterremoto non è stato solo una truffa. 
In auto attraverso le strade della Basilicata mi chiedo cosa dobbiamo fare per non mollare. Provarci, innanzitutto. Come ha fatto Elena Fucci. 
Piccola e impiegabile, nei suoi sei ettari di vigneto a Barile. Non è figlia di nessuno. Ma il nonno aveva questa terra nel vulture vulcanico, il papà e la mamma sono insegnanti. Vendere o provarci? Ci ha provato lei, è diventata enologa, produce un monobrand, Titolo. E vuoi sapere perché questo fantastico aglianico si chiama così? Perché da queste parti la contrada si chiama solagna del titolo. Solagna è la terra piena di sole,  come il regalo che il tempo ci ha fatto in questo inizio d’autunno. E il titolo è la pietra di confine, il limite della proprietà. Ci vuole l’estro di uno scrittore come Gaetano Cappelli per far stappare bottiglie del 2005, mentre legge in cantina della sua irresistibile storia dell’agliaceo del mondo. Sì, dai. Il titolo ormai è un’etichetta. Di gran classe. Ma questa terra di sole non ha più confini. Bottiglie in viaggio verso il Giappone. 
Solagna accompagna il nostro viaggio. Giuseppe guida bene e il mac non traballa. Alla mie spalle Giuseppe Marco Albano cerca di riprendersii dal raffreddore e Sergio Ragone propone un caffè. Antonerlla Pellettieri mi promette che scriverà. Bisogno impellente. 
Franco Serlvaggi ci saluta, torna a Matera, problemi imprevisti col suo residence turistico a Metaponto. “La burocrazia ci uccide”. Un attimo, però. Io di calcio non mi intendo ma me lo lasci un ricordo del tuo mondiale? Di dove sei, mi chiede. Campana. Eh, allora ti dicco una cosa che sono sicuro ti farà più piacere. Dimmi, campione, ti ascolto.” Il mio rammarico è uno solo. Mi proposero di giocare nel Napoli, l’anno di Maradona. Non sapevo che sarebbe venuto lui, dissi no”.  Mannaggia, Franco. Questo viaggio è troppo nostalgico

 

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