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“I MIEI primi libri da ragazzo sono stati i romanzi di Emilio Salgari, tutti, dal poco conosciuto e bellissimo I Robinson Italiani, alle saghe di Mompracen e dei corsari.

Me li ricordo quei pomeriggi d’estate, quando era ancora troppo presto per andare a giocare, mi tuffavo nel mondo mirabolante delle avventure in paesi lontani, esotici, eppure così vivi e palpitanti.

Mi sarebbe piaciuto molto viaggiare nella vita, ma in realtà, finora, ho avuto poche occasioni, qualche puntata in Romania per lavoro, un rapido tour in Spagna, qualche giro ai confini e poco altro.

Eppure mi piace immaginare le luci, i colori, i profumi di mondi lontani, sentire il vento caldo del deserto sulla pelle oppure il fresco profumo di un bosco di betulle del nord.”

Questa la Premessa dello scrittore e poeta lucano Giampiero D’Ecclesiis al suo ultimo lavoro dal titolo “Giovacchino Zaccana” (Editrice Universosud). Il volume, che l’autore dedica “ai viaggiatori della mente come me”, raccoglie quattordici appassionanti racconti brevi tra narrativa e autobiografia che raccontano dei viaggi compiuti, in circa trent’anni, dal geologo Giovacchino Zaccana, alter ego dello scrittore.

Nei suoi viaggi, realmente compiuti o soltanto immaginati, D’Ecclesiis/Zaccana esplora luoghi, attraversa città, rievoca la storia: quella personale – il conseguimento della laurea a Napoli, nel 1968, quando capì di non essere “fatto per fare il Professore”, o il primo ingaggio per un cantiere dell’ENI in Mauritania da “dottorino fresco di laurea” –, e quella dei Paesi visitati – il Cile, durante il golpe di Pinochet nel 1973 –, a volte anche a bordo di una vecchia littorina, come quando percorre l’emozionante e vertiginosa linea ferroviaria che collega Massaua (6 metri s.l.m.) ad Asmara (quasi 2400 metri s.l.m.).

Viaggi vissuti come momenti di esplorazione e ricerca dell’avventura che ci conducono dalla cima delle Ande argentine, “un mini inferno ghiacciato dove anche il diavolo risiede di rado”, ad Auser, (Sahara Occidentale), dove la mattina è “una fotografia che dal bianco e nero passa al colore”, da Bari, dove una festa è interrotta da un omicidio, a Liegi, dove un incontro di lavoro è occasione per scoprire il piacere che può offrire la “migliore delle geishas”, e poi, ancora, da Barcellona, dove c’è da “punire un porco usuraio”, a Ain El Karma per “aiutare El Wahid a sistemare le opere di captazione delle acque sotterranee nella sua oasi”, passando per Rio De Janeiro, tra le stradine strette de la Roncinha, fino a Brasov, in Romania.

Un diario, dunque, “Giovacchino Zaccana”, o, meglio, degli “appunti disordinati di viaggio” – questo il sottotitolo del libro – che sono invito “a sognare ad occhi aperti di mondi e d’incontri lontani”.

“Giovacchino Zaccana. Appunti disordinati di viaggi”: un volume tra narrativa e viaggio. Ci racconta come è nato questo suo ultimo lavoro?
«Giovacchino nasce un po’ per caso, mi piace scrivere e mi piace immaginare, ho iniziato con una storia di viaggio sulla Romania e poi via via mi sono imbattuto in ricordi, immagini, suggestioni che mi hanno portato in giro per il mondo. Mi piaceva l’idea di raccontarmi attraverso questo espediente, in fondo Giovacchino sono io, con le mie avventure di viaggio vere e con quelle immaginate, ho iniziato con il pubblicare su Facebook le sue avventure ed eccoci qua».
Giampiero D’Ecclesiis viaggia più spesso attraverso il mondo o l’immaginazione?
«Viaggio molto per lavoro, fare il geologo mi ha portato in giro per l’Italia e per il mondo in posti sempre particolarissimi, ciò nonostante viaggio molto, molto meno di quanto vorrei».
“Giovacchino Zaccana. Appunti disordinati di viaggio” è un volume che raccoglie 14 racconti brevi nei quali confluiscono elementi propri di diversi generi letterari. Elementi appartenenti al romanzo d’avventura, al giallo, al noir, ma anche allo storico. Ci sono dei modelli di letteratura ai quali ha guardato per dar vita ai suoi racconti?
«Amo moltissimo gli autori russi e forse questo si vede da quanto spazio occupano le descrizioni dei luoghi nei miei racconti, per il resto io scrivo di getto, non ho quasi mai programmato l’intreccio di un racconto, inizio a scrivere e le dita seguono l’immaginazione del momento. Per Giovacchino certamente mi sono venute in mente le mie letture salgariane; i viaggi immaginari fatti da ragazzo leggendo “I Robinson Italiani” o le saghe dei pirati mi sono rimasti dentro, tanto da dover rendere omaggio ad Emilio Salgari nell’introduzione del libro».
Quanto c’è di “spontaneo” nella scrittura di questi racconti e quanto si è soffermato sulle singole parole o frasi?
«Come dicevo prima io scrivo di getto seguendo l’impulso del momento quando siedo al computer, è dopo tutto questo il motivo che mi spinge più verso il racconto breve che verso altri generi di narrativa. Dopo la stesura, inevitabilmente, c’è il lavoro di limatura, spesso sostituisco o modifico interi pezzi di racconto, ma credo che questo sia parte della normale routine di chi si appresta a scrivere qualcosa da condividere con altri».
Ho letto che, solitamente, pubblica i suoi racconti in anteprima sulla sua pagina Facebook. Ma di questo suo ultimo volume non esiste una versione digitale. Lei è un lettore tradizionale o ha un buon rapporto anche con l’e-book?
«Tutti i miei pezzi sono passati su Fb, gli stessi racconti di Giovacchino, in prima stesura, sono stati pubblicati sul social network. Mi serve per testare le reazioni dei miei lettori, cerco di capire gli umori, ricevo spesso suggerimenti, correzioni, è molto divertente e gratificante.
Riguardo all’ebook credo abbia il dono insostituibile della comodità, posso partire in viaggio e portare con me centinaia di volumi, e questo è un grande vantaggio. La consistenza materica di un libro di carta però, a mio parere, resta insostituibile».
Prima ancora che scrittore lei è un poeta: ha esordito in poesia nel 2006 con la raccolta “Ballata in tre tempi e sessantadue pause”, a cui sono seguite altre due raccolte: “Fantasmi riflessi”, nel 2008, e “Graffi nell’anima”, nel 2012. Di quale poesia, secondo lei, ha bisogno il nostro tempo: romantica, civile, consolatoria, di evasione?
«Scrivo tante poesie, lo faccio ogni giorno, aiuta, è un gran balsamo. Sono convinto che c’è bisogno di poesia, di tutta la poesia possibile, la poesia libera chi la scrive e chi la legge, apre le anime e ne mostra le intimità più preziose, la poesia è la suprema verità dell’anima. Tutti possono scrivere poesia, personalmente trovo insopportabile la spocchia intellettualoide con cui spesso si censurano i poeti per passione. La poesia è un atto di amore e di sincerità grande, è tanto difficile esprimerla e metterla sotto gli occhi di tutti, il poeta è l’uomo più nudo del mondo.
Ciò che poi diventerà Poesia Eterna, gli Ungaretti, i Leopardi, sarà il tempo a selezionarlo, trattenendo i granelli più sottili e mettendo in luce le vere pepite d’oro eterne, ma ogni singolo granello, per quanto minuto, per me resta oro».
Cos’è per lei la poesia?
«La poesia è lo strumento che mi consente con più immediatezza l’espressione dei miei stati d’animo, delle mie emozioni, passioni, l’estrema valvola di sicurezza che mi consente di sfogare la pressione dei momenti di dolore o di felicità e mantenere un equilibrio».
A quali progetti si sta dedicando in questo periodo?
«Sto mettendo ordine nei miei racconti lucani, tanti, tantissimi che da troppo tempo aspettano che arrivi il loro momento e poi sto scrivendo una storia ambientata nel periodo immediatamente successivo alla caduta di Otranto nel 1480 che spero di riuscire a finire entro quest’anno, ma scrivere un racconto storico è davvero faticoso, richiede metodo e meticolosità, studio e precisione.
Infine, se ci riesco, vorrei trasformare il mio racconto “Ahmed Al Islaam” in un cortometraggio.
Speriamo che me la cavo».

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