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SATRIANO – Se almeno una volta nella vita non si assiste ad uno spettacolo di Elena Bucci, non si può dire di aver vissuto il teatro. Domenica, alle 21, sarà in Basilicata nella rassegna “Le valli del teatro”, all’Anzani di Satriano di Lucania con lo spettacolo “Svenimenti”. E’ certamente una delle attrici, autrici e registe più interessanti e brave d’Italia, il suo modo di dominare il palcoscenico e di concedersi al pubblico è unico, tanto che si potrebbe arrivare a teorizzare “il metodo Bucci”, se non fosse troppo riduttivo rinchiudere in una sola norma o criterio tutto il mondo teatrale- così sconfinato- dell’artista nata a Russi. In anteprima tentiamo di raccogliere un po’ del suo fascino artistico e filosofico in un’intervista per il Quotidiano del sud.

Elena, con “Svenimenti per la prima volta si è confrontata con il mondo di Cechov. Lo ha fatto anche attraverso le lettere Ol’ga Knipper, attrice amata e moglie del drammaturgo russo. Cechov in scena diventa come uno dei suoi personaggi? 

«Alla fine il luogo teatro, diventa un luogo attraverso il quale Ol’ga può incontrarlo di nuovo, un luogo attraverso il quale la voce delle persone che non ci sono più rimane viva. Il teatro è luogo della moltiplicazione delle identità ma anche di annullamento del tempo e della frattura vita morte. Cechov evocato da lei, dice di aver perseguito la libertà tutta la vita e di rendersi invece conto della sua solitudine, perché sentiva la mancanza di lei ma allo stesso tempo questa lontananza ha permesso loro l’unica vicinanza possibile di un autore così geloso dei suoi spazi di scrittura e di un’attrice dedicata al teatro».

Come avete vissuto- da attori – i personaggi di Cechov?

«In realtà noi siamo attori che entrano ed escono dalle identità degli atti unici. Il personaggio è a vista del pubblico, non c’è chiusura ma c’è uno sguardo che ne intravede le possibili aperture. Si è cercato di rendere visibile il momento nel quale nasce la magia. In un attimo si percepisce la natura del teatro».

Il titolo “Svenimenti” sembrerebbe un omaggio a Mejerchol’d. Quanto il suo modo di fare teatro si rifà alle teorie di questo maestro russo?

«Spero che in questo presente si possa guardare alle teorie non in modo totalitario. Forse oggi possiamo avere uno sguardo altro e sapere che questi grandi maestri in quel momento per liberarsi di ciò che c’era stato prima, avevano bisogno di credere in un’unica possibilità. Oggi possiamo integrarle tutte, l’una con l’altra. E’ anche bello vedere come nel linguaggio del teatro i risultati di volta in volta siano codificati in modo diverso, come il successo di un’opera possa passare attraverso linguaggi diversissimi. Il nostro compito è anche sovvertire le teorie».

Sarà coinvolta per la prima volta in Basilicata in un laboratorio a giugno per “Le valli del teatro”. Come sarà? Molti hanno anche un po’ paura della sua severità…

«Ma no, no! Il laboratorio è una cosa diversa ma con chi fa questo lavoro, quando si prepara lo spettacolo credo sia necessario ottenere una forma di rigore che poi magari si scioglie man mano che si crea un linguaggio comune. La Basilicata è una terra che sta vivendo situazioni controverse e mi sembra quasi doveroso portare il mio lavoro. Speriamo ci siamo modo di creare teatro – come facciamo spesso- in luoghi non teatrali».

Concludiamo. Cosa è per lei la Bellezza?

«La Bellezza in questo momento per me consiste nel non smettere mai di desiderarla e vederla».

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