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GIORGIO Albertazzi il maestro, l’incarnazione del teatro italiano è arrivato con le parole di Shakespeare – grazie al consorzio “Teatri uniti di Basilicata” – sul palchi di Potenza e Matera con lo spettacolo “Il Mercante di Venezia”. Un vero e proprio evento nelle belle ed intense stagioni teatrali di Potenza e Matera, un occasione di grande teatro e anche per chiacchierare un po’ con il maestro in un’intervista concessa a il Quotidiano del sud.

Maestro, “Il Mercante di Venezia” è stato messo in scena con grande successo di pubblico e critica in giro per l’Italia. Quale è la forza secondo lei di quest’opera?

«Questi capolavori shakespeariani offrono una serie di possibilità per diventare “hic et nunc” . Il teatro è sempre nel presente, è “ora” nel disegno dell’attore. Il teatro è come una bella addormentata, è compito dell’attore -principe azzurro, il risveglio con un bacio».

Lei interpreta Shylock, un ricco usuraio ebreo. Ma quanto sono cambiati e in cosa i personaggi nella sua traduzione ed adattamento?

«E’ stato un adattamento abbastanza massiccio del testo. Ci sono certi aspetti che ho potenziato: il personaggio di Job è diventato molto più lungo. Ho poi calcato la mano sull’atto d’amore. C’è anche l’amore di Shylock per la figlia Jessica che lo tradisce e fugge con un cristiano portandosi via tutto il denaro. Rimane una storia stupenda che ha appassionato ed appassiona gli spettatori. Basti pensare che riprenderemo lo spettacolo a Roma per la terza volta».

Shakespeare è un autore molto presente nella sua carriera, ha cominciato a fare l’attore con le parole del Bardo. Qual è il giusto modo di trattare questo straordinario autore?

«La sua forza sta nella lingua che si bilancia tra il verso, il “blank verse” e la prosa. Shakespeare mette continui correlativi oggettivi mentre scrive, il suo non è mai un discorrere, è sempre un’incisione di significanti, i quali squillano perché diventano concreti. Shakespeare non dice: sei bella come una rosa; ma dice: una rosa appassisce davanti al colore delle tue guance. Immediatamente sei colto dall’immagine fortissima che diventa concreta. E’ la forza della poesia che va alla scoperta dell’archeologia della parola, non soltanto il suo significato quotidiano. La parola teatrale è sempre extra quotidiana».

C’è l’opera ma poi il teatro è fatto di scena. Cosa è l’attore?

«C’è l’attore gregario che secondo me non è niente, è un presta parola. C’è l’attore interprete che si pone a metà tra l’autore e la scena, un medium. C’è poi l’attore creativo, è un artista che prende le parole, la storia, il testo è lo fa suo, lo fa diventare un’opera personale con alcune forzature e poco rispettoso. E’ un violentatore rispetto al piano letterario del testo. L’attore creativo scrive dentro se stesso, non fa niente di oggettivo. Fare l’attore è una cosa estremamente soggettiva, parlando di sé si parla del mondo».

Carmelo Bene in una famosa intervista si autodefinì un “classico”. Dopo tanti anni di teatro lei si sente un classico?

«Mi sembra di essere più romantico del classico. Credo più nei sentimenti che nelle strutture. Qualche giorno fa ho incontrato da Marzullo una ragazza che parlava di teatro come quelli che sono appena usciti dalle accademie; poverina imbottita di nozioni e io le ho detto: “Ora il suo lavoro è liberarsi totalmente da tutto questo”. Faccio l’attore basandomi su un principio: “Nosce te ipsum” , conosci te stesso».

Maestro, lei ha partecipato a “Ballando con le stelle” con grande sorpresa, ma la rivedremo in televisione a fare il suo teatro?

«Sì, non posso parlarne perché sono progetti in corso, ma c’è abbastanza televisione nel mio prossimo futuro. Il teatro in televisione è un problema non risolto ancora, la chiave non si è trovata. Noi proveremo a farlo».

Concludiamo. Cosa è per lei la Bellezza?

«La Bellezza è femminile, è l’armonia delle imperfezioni».

 

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