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POTENZA – Sono nata nel 1975. A Potenza, la città di Emilio Colombo. Tra i miei ricordi – in quelli di tutti i potentini – c’è almeno un incontro con il presidente. Di qualcuno di quegli incontri i miei genitori forse conservano ancora qualche foto. C’era sempre tanta gente attorno a quell’uomo con gli occhiali (per me bambina era solo questo). Tanti potenti. Sindaci, assessori, commendatori, signore ben vestite.
Sarà per questo che – pur non nutrendo molta simpatia per quel mondo – sono sempre intimamente stata convinta che il funerale del senatore a vita sarebbe stato un evento indimenticabile per la città di Potenza. Ho sempre immaginato un bagno di folla, il parapiglia, le lacrime, il dolore. Tutta quella immensa folla che c’era sempre quando il presidente partecipava a una manifestazione. Ieri la salma di Emilio Colombo è arrivata nella sua città natale. Quella in cui io sono nata e nella quale il respiro di Colombo lo potevi avvertire ovunque. Anche se lui era dall’altra parte dell’Oceano in quel momento. La Basentana – mi raccontavano – è stata realizzata perché Colombo, tornando a Potenza da uno dei suoi viaggi, era rimasto bloccato a Vietri per la neve. L’intera città è nata ed è cresciuta sotto l’impulso di quella Democrazia cristiana di cui lui qui era il massimo esponente. Potenza era Colombo: non c’è politico locale che con quella figura non si sia dovuta confrontare. Da qualunque parte stesse.
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Ma io sono nata negli anni Settanta, quelli della massima contrapposizione politica. Questi sono anni diversi. Sono gli anni in cui la contestazione della nostra classe politica la bevi con il caffè del mattino. E Potenza non è più la città di Colombo.
Decisamente non lo è più. Perché il funerale che mi ero immaginata, quello con le ali di folla che si aprono per far passare la salma, non c’è stato. Non c’era nessuno ad aspettare il corteo funebre proveniente da Roma lungo il percorso cittadino. Un po’ di gente si inizia a vedere a corso XVIII Agosto. Poi in piazza Prefettura ci sono le tante presenze istituzionali. Tutti i sindaci dei Comuni lucani, tutti i gonfaloni, i presidenti delle due Province di Potenza e Matera – Piero Lacorazza e Franco Stella – il presidente della Regione Vito De Filippo e quello del consiglio regionale Vincenzo Santochirico, i sindaci Vito Santarsiero e Salvatore Adduce. Attorno alle due sorelle del presidente e ai nipoti ci sono tanti volti noti. Pochi volti semplici. In piazza un migliaio di persone in tutto ci sono, ma nel cuore della sua città don Emilio – come qui tanti lo chiamavano – non riceve quel caloroso abbraccio che sinceramente mi sarei aspettata di vedere.
Mi sono guardata attorno fino a piazza Matteotti. Nell’atrio del Comune è stata allestita la Camera ardente: le bandiere a mezz’asta (anche la sede Rai di Potenza ha fatto la stessa scelta) non sembrano colpire più di tanto i cittadini. Lungo i vicoli non ci sono assembramenti né file. Sul corso, lungo via Pretoria, lo struscio prosegue tranquillo e normale. Come se poco interessasse l’arrivo di quell’illustre concittadino. Lo statista, l’uomo politico che in passato muoveva le folle, non è più parte integrante di questa città.
«Questa è l’Italia – commenta qualcuno in piazza Matteotti in attesa di dare le condoglianze alla famiglia – un giorno sei il re, ma poi alla fine della vita non conti più nulla per nessuno». I fedeli di Colombo, quelli che gli sono stati accanto fino alla fine, sono quasi sgomenti in piazza Matteotti. Si aspettavano qualcosa in più un po’ tutti. Un po’ più di calore, di affetto. Tra i gonfaloni schierati, alla spicciolata arrivano i nomi importanti, qualche cittadino – molto anziano – ma nel momento che pare di massimo afflusso, per entrare nell’atrio del Comune ci impieghi dieci minuti. «Imbarazzante», sussurra qualcuno. «C’era più gente a Roma», dice qualcun altro.
Forse più semplicemente é la fine di un’epoca. Quella in cui la politica contava tanto, forse troppo. Quella in cui un politico era rispettato, amato, riverito. Quella in cui si credeva che un politico avrebbe potuto cambiare il corso delle vite dei cittadini. Di una città. Di una regione. Nessuno ora ci crede più. In questi anni abbiamo assistito a un così lento e inesorabile declino della politica e dei suoi ideali, che tutti hanno finito per mettere tutto in un unico calderone: quello dell’antipolitica. E gli scandali, i soldi rubati, l’assenza di onestà non fanno che peggiorare questa immagine. Tra quella salma e via Pretoria c’è un piccolo pezzo di strada. Il vuoto su quel tratto è il segno tra il “noi” – i cittadini – e il “voi” – i politici. E chi quel vuoto ancora non riesce a vederlo, a leggerlo, ad analizzarlo, è ancora più miope di quanto i cittadini già non credano.
Con Colombo se ne va definitivamente l’epoca delle certezze. Anche qui a Potenza, dove tutto arriva più tardi. Poi magari oggi ai funerali ci sarà quel fiume di persone che tutti oggi si attendevano. E qualcuno tirerà un sospiro di sollievo. Ma quel vuoto resta là. A parlare di una distanza forse ormai incolmabile.
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