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REGGIO CALABRIA – Affari in tutta Italia e nei settori più svariati. Sono quelli che gestiva la cosca Lo Giudice della ‘ndrangheta e che l’ex capo del gruppo criminale, Nino Lo Giudice, oggi pentito, ha descritto minuziosamente nel processo a suo carico e ad altri 11 affiliati in corso davanti il Tribunale di Reggio Calabria.   Tra gli imputati anche il fratello di Nino Lo Giudice, Luciano, e l’ex ufficiale dei carabinieri Saverio Spadaro Tracuzzi, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.   La cosca Lo Giudice, secondo quanto ha riferito il pentito rispondendo alle domande del pm, Beatrice Ronchi, gestiva una serie di attività economiche utilizzando i proventi delle estorsioni: commercio di automobili di lusso e commercio di legname a Milano e di gioielli a Prato, investimenti nel settore immobiliare a Padova. Attività che venivano curate dallo stesso Nino Lo Giudice soprattutto dopo l’arresto del fratello Luciano.  

 Lo Giudice ha riferito anche del ruolo apicale, col grado di “padrino”, che ha assunto nella cosca dopo la morte del padre, Giuseppe, ucciso nel giugno del 1990 durante la guerra di mafia.   Il pentito si è soffermato, inoltre, sugli attentati compiuti nel 2010 a Reggio Calabria contro l’ufficio della Procura generale e l’abitazione del pg Salvatore Di Landro e sull’intimidazione compiuta ai danni dell’allora Procuratore della Repubblica, Giuseppe Pignatone, con un bazooka lasciato nei pressi della Dda, confermando di essere stato lui il mandante e di averne affidato l’esecuzione ad Antonio Cortese e Vincenzo Puntorieri, imputati anche loro nel processo. å

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