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CASTROVILLARI – È arrivato sulla scrivania del procuratore capo di Castrovillari, Franco Giacomantonio, il ricco incartamento presentato dall’avvocato Stefano Gallerani che costituisce la formale “richiesta di riapertura delle indagini” sul caso di Donato Bergamini. L’avvocato di Ferrara lo ha presentato ieri mattina; un faldone di oltre duecento pagine di “richiesta”, sessanta allegati e un centinaio di fotografie. Materiale nel quale si concretizza tutto il lavoro realizzato dallo staff medico-legale coordinato dall’avvocato ingaggiato dalla famiglia di Denis Bergamini – l’ex calciatore del Cosenza morto il 18 novembre dell’89 sulla strada statale 106 jonica nei pressi di Roseto Capo Spulico – proprio per fornire ai magistrati di Castrovillari (competente per territorio) il materiale investigativo necessario per chiedere la riapertura del caso e, di conseguenza, la revisione della sentenza della Corte d’appello di Catanzaro – che nel giugno 1992 ha chiuso il processo per “suicidio”.

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Donata, la sorella, e Domizio, il padre del calciatore, non si sono mai arresi all’idea di conoscere la verità, perchè per entrambi Denis non si sarebbe mai tolto la vita. E oggi, grazie a questo dossier – che lo stesso procuratore non ha avuto remore a definire «ben fatto» – quella verità potrebbe essere più vicina. La scomparsa di Bergamini, risale alle alle 19 e 30 del 18 novembre 1989, sulla strada statale 106, in località “Monica”, tra Roseto Capo Spulico e Montegiordano, quando i carabinieri verbalizzano la presenza di un corpo esanime in mezzo alla strada, quello del calciatore 27enne di Argenta (Ferrara), acclamato centrocampista del Cosenza degli anni d’oro. A una certa distanza dal cadavere c’è, in sosta e con il motore accesso, un autocarro Fiat 180 NC a quattro assi, targato RC 307921, con i fari accesi. Sul posto c’è l’autostrasportatore Raffaele Pisano. Manca, invece, la testimone chiave di tutta la vicenda: Isabella Internò, l’ex fidanzata di Bergamini che dichiarò di essersi allontanata per andare a telefonare. Dalle sue parole è dipeso l’esito di due gradi di giudizio: un anno dopo, infatti, la procura di Castrovillari chiese l’imputazione di Pisano, accusato di omicidio colposo per essere stato negligente alla guida; ma il pretore prima e la corte di appello di Catanzaro in secondo grado, nel ’92, lo assolsero perché ritenero plausibile la versione del suicidio raccontata dalla testimone. Alle quattro del pomeriggio del 18 novembre ’89; mentre Bergamini è in ritiro col resto della squadra in vista della partita contro il Messina, all’improvviso si allontana dalla sala del cinema Garden di Rende, dove tutti stanno guardando un film, per andare a telefonare alla ex ragazza, che ha necessità di vedere. La va a prendere sotto casa, a Rende, e le chiede di accompagnarlo a Taranto «perché – racconterà lei – vuole imbarcarsi, vuole lasciare l’Italia, di corsa». Percorrono l’autostrada e poi la statale 106 Jonica. Alle 17 e 30 li fermano i carabinieri a un posto di blocco, ma li lasciano subito proseguire. Pochi chilometri più avanti i due si fermano per discutere: lei lo vuole convincere a non partire, lui vuole proseguire. Esce dall’auto, senza giubbotto, e fa il classico gesto del pollice sollevato a due auto, inutilmente. Proprio in quell’istante giunge l’autocarro e Bergamini – racconteranno i due testimoni – si lancia sotto le ruote. Una ricostruzione, questa, che ora potrebbe essere archiviata definitivamente come “falsa”. «Riteniamo di aver fornito alla procura elementi nuovi sufficienti per la riapertura del caso» ha detto l’avvocato Gallerani, con la sua solita modestia. «Abbiamo allegato documenti di rilievo; due consulenze medico legali e tecniche che contengono quegli elementi di novità sufficienti, secondo noi, a cambiare la versione dei fatti».

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