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JEAN-Claude Juncker, il presidente della Commissione, ha detto con grande lucidità e coraggio, che è ingiusto e anche inutile continuare a fare la faccia feroce verso gli immigrati.
Nell’aula di Strasburgo ha fatto notare una cosa molto semplice: se chiudi le porte a chi cerca protezione e aiuto, questi entra dalla finestra. Il comandante in capo di quelli che vengono additati come burocrati senza cuore ha saputo mandare ai governi, e anche ai populisti demagoghi, un messaggio chiaro: la ricerca della sicurezza non può essere più l’unica arma dell’Ue. Anzi, si sta rivelando un’arma spuntata. E, dunque, bisogna cambiare registro.
Il Parlamento europeo, nell’ultima sessione plenaria, ha prontamente offerto un contributo molto importante, piegando in termini di solidarietà l’approccio verso l’epocale esodo dal sud del mondo. Con la risoluzione comune dei principali gruppi politici (Ppe, S&D, Verdi, Liberali), approvata a larghissima maggioranza, è stato posto l’accento sul tema dell’accoglienza che scoperchia i clamorosi egoismi dei governi nazionali. Non ho alcuna esitazione a sostenere che il Parlamento ha dimostrato di essere molto più avanti dei governi, come si evince dalle deludenti “Conclusioni” del recente summit straordinario dei capi di Stato e di governo. Abbiamo letto di buoni ma scontati e limitati propositi, dell’impegno ad aumentare la dotazione finanziaria della missione “Triton” e della speranza di coinvolgimento di tutti gli Stati membri e delle organizzazioni internazionali nella lotta ai trafficanti. È ancora molto forte la resistenza a dare un impulso davvero strategico alle politiche europee verso l’Africa e il fenomeno dell’immigrazione. Il principio di solidarietà è uno dei cardini su cui si poggia l’impianto istituzionale del nostro particolarissimo club ma la sua rimozione è evidente da parte di molti protagonisti.
La risoluzione di Strasburgo chiede che sia messa a punto “un’operazione umanitaria europea di ricerca, solida e permanente, che, come Mare Nostrum, sia operativa in alto mare e alla quale contribuiscano tutti gli Stati membri sia con risorse finanziarie che con attrezzature e mezzi”; e sollecita l’UE a cofinanziare tale operazione. Inoltre, e questo è un aspetto inedito e molto incoraggiante, si invita la Commissione a fissare “una quota vincolante” per la ripartizione dei richiedenti asilo tra tutti gli Stati membri e si sottolinea la necessità di “incoraggiare le politiche di rimpatrio volontario garantendo nel contempo la protezione dei diritti di tutti i migranti e l’accesso sicuro e legale al sistema di asilo dell’UE, nel rispetto del principio di non respingimento”.
Il Parlamento, come si vede, fa la sua parte ma non è, purtroppo, conoscenza diffusa che questi temi sono, innanzitutto, competenza dei governi degli Stati membri che si riuniscono in seno al Consiglio europeo. I cittadini devono saperlo. Quando si è costretti, dai fatti luttuosi, a provare di correre ai ripari, salvo poi ricadere nell’oblio, bisogna sapere dove e su chi risiedono le principali responsabilità. La memoria va tenuta viva altrimenti tutto si fa routine il giorno immediatamente dopo il classico minuto di silenzio in onore delle vittime. Noi lo diciamo apertamente: non siamo soddisfatti per come vanno le cose. Il Consiglio europeo ha varato pochissime e deludenti misure anche se, al cospetto dei precedenti, si tratta pur sempre di un passo in avanti.
È del tutto evidente che di fronte ad un problema epico si deve cercare di affrontarlo con misure di grande portata. Le opzioni militari, di qualunque segno, sarebbero risposte fallaci, ad alto rischio e senza risultati certi. Oltre che fuori dallo spirito europeo. La vicenda libica va affrontata aiutando una soluzione politica di pacificazione all’interno di quel Paese, come l’inviato Ue sta faticosamente tentando. Ci vuol tempo e una serie di contingenze da agevolare: un compito che si sta svolgendo con pazienza e attenzione attraverso l’iniziativa dell’Alto Rappresentante Federica Mogherini. Qui c’è un problema di aiuti e partnership con i Paesi di origine, di revisione delle convenzioni sull’asilo (quella di Dublino III, sul Paese di prima accoglienza, va rivista senza indugio) e di apertura di canali legali di ammissione. I populisti possono pure, ad ogni elezione, levare grandi lai, possono anche guadagnare dei punti e dei seggi, ma alla resa dei conti dovranno constatare che la politica dell’Europa-fortezza non conduce da nessuna parte. La dimensione degli spostamenti di persone, in fuga da fame, dittature e guerre, è troppo vasta da immaginare di controllarla con una risposta di guerra, a cominciare dalla, peraltro difficilmente praticabile, intenzione di distruzione dei barconi dei trafficanti.
Voglio fare un esempio per spiegare la mole di problemi che abbiamo di fronte, proprio come europei. Ci siamo mai chiesti perché i migranti accettano di correre il rischio di morire annegati nel Mediterraneo pagando cifre elevatissime per salire sui barconi della morte dopo aver percorso centinaia di chilometri sino alle coste libiche? Perché, ad un prezzo molto inferiore (anche non più di 300-400 euro), i migranti non provano a prendere un aereo? Sembra una domanda stupida, lo so; ma non lo è affatto. Perché esiste una direttiva europea (2001/51/CE del Consiglio, del 28 giugno 2001) che sanziona pesantemente le compagnie aeree che accettano a bordo persone senza visto le quali, di fatto, fungono nei Paesi di partenza come uffici di respingimento delle domande d’asilo. Inoltre, i vettori rifiutano di accogliere i rifugiati sebbene la stessa direttiva rammenti che non si possono violare le norme internazionali in materia. Questa annotazione consente di sottolineare quanto sia urgente rivedere la legislazione europea nell’ottica della cooperazione tra Stati piuttosto che affidarsi a norme punitive che, come si vede, non bloccano l’immigrazione illegale e non sono in grado di affrontare un problema enorme.
L’Ue, insomma, dovrebbe riorientare la propria politica per l’Africa e farne uno dei punti di forza della sua azione esterna. I mezzi e la forza economica non mancano per poter competere con altre potenze che, da tempo, hanno individuato gli Stati del continente africano come partner con cui fare grandi affari nell’interesse di entrambi. Così si possono aiutare, nei loro luoghi, i milioni di cittadini che hanno diritto a una vita decente. Possiamo, noi europei, rafforzare le politiche di aiuto allo sviluppo, per il nostro interesse e per confermare il nostro indiscutibile spirito umanitario. E nell’immediato, come auspica il Parlamento, favorire “negoziati sotto la guida dell’Onu al fine di ripristinare l’autorità di governo democratico in Libia” e l’impegno a intensificare gli sforzi per affrontare le situazioni di conflitto non solo in Libia ma anche in Siria, con l’obiettivo di alleggerire progressivamente la pressione degli sfollati dalle zone di conflitto. Si tratta di un lavoro che, purtroppo, comporta del tempo, impiego di risorse e grandi capacità politiche di mediazione. Se ci si impegna e si opera con unità e spirito di collaborazione, si può affrontare questa grande sfida nelle migliori condizioni.
*Presidente Gruppo Pse al Parlamento europeo
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