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È tutta una questione di storytelling. Prendete la prima pagina del Quotidiano di lunedì 20: Matera vince, Potenza punta al pareggio. Se decontestualizziamo i due titoli, sembra un ribaltamento del celebre dualismo Atene-Sparta adattato a calcio e politica. C’è mezza Basilicata felicemente legata al traino di una data-feticcio (il 2019) e un’altra impantanata in vicende di dissesti, questue regional-romane, vertenze e sit-in un giorno sì e un giorno no, servizi e trasporti a singhiozzo – volendo restare nel pubblico, perché nel privato l’immagine simbolo può essere quella di una serranda abbassata nel centro del capoluogo. Appunto, è una questione di narrazione. Per questo è difficile parlare di (una sola) Basilicata. Sia sui giornali che in tv. L’altro ieri sera, ad esempio, durante PiazzaPulita, l’amministratore delegato e dg della Conad, il 56enne tarantino Francesco Pugliese, ha raccontato la (sua) storia della Basilicata: nell’Italia che ha paura – di spendere, ma anche del futuro – questa regione è un esempio di fiducia grazie al contesto positivo e i lucani lo dimostrano spendendo, laddove nel resto d’Italia si preferisce risparmiare e accantonare.
Forse, può dire qualcuno, quella di Pugliese è una Basilicata che non c’è, volendo prendere in prestito il titolo del libro che il manager ha scritto con il direttore del Foglio, Giuseppe Cerasa: “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia che non c’è” (Rizzoli Etas). Certo che l’immagine dell’asino di Buridano, che si lascia morire di fame, incapace di scegliere quale mucchio di paglia mangiare è un ritratto dell’Italia che però sta bene anche addosso a certa Basilicata. In più di un punto: a parte le storture del fisco e quelle del lavoro che non c’è, l’abbraccio mortale burocrazia-corruzione, colpisce la trattazione della «sindrome del nanismo, del “piccolo è bello”, che impedisce alle imprese italiane di competere sul piano internazionale»: viene in mente quel piccolo (e bellissimo) contadino di Grassano che fornisce Tesco, un gruppo della grande distribuzione ben più esteso di Conad; quel contadino è un esempio virtuoso che, in un’eventuale rete, vedrebbe la sua forza centuplicata.
La ricchezza della Basilicata è allora quel contadino, così come ricchezza – immateriale fino a un certo punto – sono gli startupper che da fuorisede creano applicazioni vendute per decine di milioni ai grossi gruppi tedeschi, o i registi, filmmaker e videomaker premiati fuori regione. C’è poi tutta la filiera del gusto, dalla fragola Candonga al vino alle acque e alle prelibatezze che rappresenteranno la Basilicata dall’8 al 23 maggio a Expo2015. Una ricchezza che si perde sono invece i 2.500 giovani l’anno che la regione vede partire dopo averli formati (il dato è stato fornito ieri nel corso della tavola rotonda di cui leggete in questa pagina).
Guardando, ieri, il servizio del Tg3 con i contadini in rivolta a Matera contro l’Imu agricola e le lobby del petrolio, sentendo i loro dubbi su dove vanno i soldi e dove portano le estrazioni (dubbio condiviso l’altro ieri da Fedez, rapper rampante e dichiaratamente grillino intervistato da maitre-a-penser persino da Michele Serra sul tema 25 Aprile), si capisce che la narrazione è una cosa e la percezione è un’altra. Molti continuano a pensare che qui, di tutto quel petrolio, non resti un euro. E così torniamo alla ricchezza percepita, oltre che allo stereotipo del lucano bovaro convertito al terziario e refrattario all’arricchimento da oro nero.
Pugliese, su La7, quasi a riscattare un’immagine un po’ negativa emersa dalle ultime comparsate della Basilicata nei talk, ha spiegato che «sui consumi influiscono molto più fiducia e benessere che il Pil procapite. Chi ha paura non spende». Lo dice da leader di un gruppo che, per fare un esempio, da tempo promuove una campagna di prezzi bassi sui beni di largo consumo per tutto l’anno. L’ad di Conad ha poi citato i 2000 posti di lavoro – senza specificare l’azienda, ma è possibile che il riferimento sia alle assunzioni Fiat spesso evocate dal governatore Pittella come “botta di fortuna” (eufemismo) ideale per alzare gli indicatori –, un altro segnale positivo nella narrazione della Lucania felix. E chissenefrega se ben poco si sa sulla durata dei contratti o se quei cattivoni dei sindacati si accorgono del bluff delle trattenute tra 200 e 300 euro agli interinali neoassunti dalle aziende dell’indotto Sata, manco fossero i ragazzi dell’Expo che sono i nostri stagionali 2.0. Chissà se pure i coetanei di Melfi spendono come vorrebbero.
e.furia@luedi.it
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