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C’È un nome che probabilmente non dice nulla alla maggioranza delle persone: Abubakar Shekau. È uno che non si fa alcuno scrupolo di affermare: “Mi piace di eliminare chiunque Dio mi ordini di uccidere”. È l’uomo che, sghignazzando, alcuni mesi fa annunciò con un video, il rapimento di 200 studentesse nigeriane, e pronto a “venderle nel nome di Allah”. Quest’uomo ci riguarda da vicino. Perché è il capo misterioso e carismatico del gruppo terrorista e affiliato al Califfato dell’IS, quella formazione militarizzata diBoko Haram che già controlla in Nigeria un territorio vasto quanto il Belgio. Quest’uomo, e la sua organizzazione, devono stare in cima ai nostri pensieri perché hanno mezzi e risorse importanti, un armamentario di violenza e di barbarie senza pari e ambizioni rilevanti che, nell’Africa centro-occidentale possono minacciare nazioni confinanti come il Niger, il Chad e il Cameroon. Quest’uomo, dai tratti misteriosi e dalla psicologia disturbata, metà criminale e metà teologo fondamentalista, non è una minaccia locale.
L’espandersi dell’influenza di Boko Haram, da ormai cinque anni, ha trascinatoalmeno tre milioni di persone in una drammatica crisi umanitaria nel nord-est della Nigeria. Ma la sua azione si è trasformata in una minaccia globale e nelle ultime ore si va ad aggiungere a quella che ha preso consistenza nel nord dell’Africa, nella Libia squassata dalla lotta tra fazioni, e specialmente dai combattenti del Califfato che avanzano da est a ovest del Paese. E a sole 200 miglia dalle coste.
Ecco, Boko Aram è un’organizzazione terroristica eguale all’ISIS e ad Al-Qaeda. E la sua avanzata, fatta di massacri e atti criminali indicibili, deve preoccupare non poco in quanto il suo insediamento è in uno dei Paesi chiave dell’Africa, qual è il “gigante Nigeria”, interessato da un forte sviluppo economico, forse oltre quello del Sudafrica. Ma la Nigeria, al tempo stesso, per la debolezza delle strutture istituzionali e a causa della minaccia jihadista, è finita per essere debolissima e terreno di conquista.
Negli ultimi mesi la lotta tra diverse fazioni e bande, alla vigilia di cruciali elezioni presidenziali e legislative, ha provocato decine e decine di morti e la situazione è sull’orlo di una degenerazione irrecuperabile. Una lotta che ha fiaccato le strutture istituzionali e la battaglia per arginare l’avanzata di Boko Haram che si porta dietro una scia impressionante di brutalità. Per questo motivo l’Unione europea, insieme alla comunità internazionale, deve combatterla per bloccarne l’ascesa e prevenire ulteriori catastrofi. Si pensi, per un solo momento, alla saldatura tra questo gruppo e gli altri che rischiano di contagiare altre grandi porzioni dell’Africa. Anche, in pratica, alle nostre porte.
È fondamentale, dunque, che in Nigeria si tengano le elezioni, pacifiche, trasparenti e credibili. Ma senza altri ritardi. Il rinvio di questi ultimi giorni non lascia pensare a nulla di buono. C’è il rischio che ciò provochi un pericoloso deragliamento della situazione. La Nigeria ha bisogno di un governo forte e pienamente legittimato per poter sconfiggere le milizie di Boko Haram.
L’Unione europea sta facendo la propria parte. Ha già garantito un pacchetto di aiuti per 35 milioni di euro e ha disposto una delegazione di osservatori elettorali (ci saranno anche i deputati del Gruppo S&D, l’italiana Kashetu Kyenge e la spagnola Javi Lopez) perché non si può lasciare uno dei più importanti paesi africani da solo a combattere una battaglia per la civiltà. Gli errori che sono stati compiuti in passato nei confronti del Medio Oriente e del Nord Africa (vedi il caso Libia di cocente attualità), non devono ripetersi.
Molte testimonianze ci dicono che Boko Haram è legato all’esercito dell’Isis. E ci descrivono il leader Abubakar Shekau in preghiera e invocante Abu Bakr al-Baghdadi come “Oh, Califfo”! Unitamente alla consonanza di intenti e di proficui legami con vasti gruppi jiadisti sparsi nel mondo, i terroristi di Boko Haramdispongono di risorse finanziarie, di pesanti arsenali militari, compresi quelli provenienti dai depositi saccheggiati di Gheddafi.
C’è, dunque, una emergenza Nigeria e una emergenza Libia che sono legate dallo stesso segno inquietante e drammatico. Bisogna tenere la guardia alta, agire insieme come forze europee, aiutare gli sforzi di democratizzazione e anche essere pronti ad agire nell’ambito delle decisioni della comunità internazionale.
*Presidente del Gruppo Socialisti & Democratici al Parlamento Europeo
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