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RICORRE l’XI anniversario delle 15 giornate (13-27 novembre 2003) che a Scanzano Jonico videro tutto il popolo lucano lottare contro il decreto che individuava a Terzo Cavone il sito unico nazionale per il seppellimento delle scorie nucleari.
Il paragone con la vicenda petrolio, che oggi sta accendendo la piazza lucana, è inevitabile. Per il nucleare si trattò di un’autentica sollevazione popolare, per il petrolio siamo ancora alla protesta.
L’allora presidente della giunta regionale, non ebbe difficoltà a cavalcare il dissenso che partì in sordina e poi esplose incontenibile. All’inizio, non solo lui, ne sottovalutò la portata, poi vi montò sopra e lo guidò con indubbia abilità.
Al governo c’era Silvio Berlusconi, per cui non ebbe alcuna difficoltà a mettersi di traverso. Il popolo lucano diede una dimostrazione di grande determinazione e maturità. Sulla statale 106 jonica, nel presidio di Metaponto, ad un gruppo di estremisti di sinistra, venuto da altre parti d’Italia, venne impedito di intrufolarsi in una situazione complessa, ma pacifica.
Anche allora la realizzazione di quel sito prevedeva l’arrivo di un fiume di denaro e venivano fornite garanzie di sicurezza per l’ambiente e la salute dell’uomo, supportate da studi scientifici, ma si preferì diffidare e prevalse la preoccupazione di consegnare a chi verrà in questo mondo dopo di noi, un territorio non violentato.
L’ultima lettera dell’attuale presidente della giunta regionale Marcello Pittella, pubblicata sul suo profilo facebook, svela la sua preoccupazione che possa ripetersi il moto di protesta di 11 anni fa ed è a tratti implorante. La sua difficoltà a riconoscere la giustezza delle argomentazioni di chi si esprime contro lo scippo delle competenze in materia autorizzativa per le estrazioni petrolifere, il loro aumento e le trivellazioni in mare, è comprensibile, ma non giustificabile: egli si trova di fronte ad un governo amico e sa benissimo che Renzi non gli perdonerebbe un atteggiamento ostativo.
Si sforza di convincere i lucani, anche la chiesa, che verranno compiuti tutti gli sforzi per la tutela dell’ambiente e della salute con screening severi e monitoraggi ambientali e che i vantaggi sono notevoli, ma le sue argomentazioni non sono convincenti. Sarebbe come dire: prima vi danneggiamo e poi veniamo a verificare quanti e quali sono i danni e vi curiamo.
Bastano poche argomentazioni per smontare le sue tesi. Il petrolio che si estrae in Basilicata e nel resto d’Italia riesce approssimativamente a coprire il 6 per cento del fabbisogno nazionale, aumentando le estrazioni si potrà al massimo superare il 10 per cento, il gioco quindi non vale la candela. Per le compagnie petrolifere va comunque bene, loro pensano solo all’utile immediato, la classe dirigente di una regione, le sensibilità che sono presenti in tutti i settori della vita associata, devono guardare invece al futuro. “Il politico – disse De Gasperi – pensa alle prossime elezioni ed agli interessi immediati, lo Statista al futuro”. Non esiste attività estrattiva senza rischi per l’ambiente e la salute dell’uomo. C’è una vasta letteratura scientifica sull’argomento.
La piattaforma che inquinò il Golfo del Messico, considerata sicura, fu la più grande catastrofe ecologica degli Stati Uniti d’America, un evento simile nel Golfo di Taranto sarebbe una tragedia immane. La storia delle multinazionali del petrolio è tutt’altro che cristallina e dimostra che le compagnie conoscono una sola parola d’ordine: fare profitto a qualunque costo e con ogni mezzo.
Pittella al termine del suo intervento sul social network sembra non escludere la possibilità di impugnare l’articolo 38 ed è già un segnale che la protesta non è inutile.
* Centro Studi Jonico Drus
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