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DISASTRI ambientali si susseguono periodicamente. La risposta è spesso una: task force, siamo amanti delle terminologie estere, commissioni, commissari, esperti, superesperti, indagini e via discorrendo. Si creano organismi per l’emergenza, poi nei momenti cruciali si vedono solo i giovani e i cittadini animati da tanta buona volontà. Trovare il responsabile è un artifizio che rende perplessi chi attende di sapere qualcosa. Il responsabile è di solito indefinito: l’eccezionalità dell’evento, l’imprevedibilità, oggi anche la burocrazia. Si vive in un periodo di vacche molto magre (per alcuni, i soliti noti), i dati parlano di un Paese fermo dal 2011. Le risorse finanziarie non ci sono per la prevenzione, per una messa in sicurezza di un territorio particolare, che è divenuto molto a rischio per scelte degli uomini non dell’indefinito, quale la cementificazione selvaggia e senza regole, la non manutenzione di fiumi, torrenti, argini, spiagge e via discorrendo, la particolarità di terreni che necessitano d’interventi sostanziosi per non franare. Indispensabile una politica della tutela del territorio dell’intero Pese, con una programmazione che guardi al futuro, iniziando dalle tante criticità. Questo è il campo della politica, o dovrebbe essere. Guardare non solo al presente, ma al futuro per dare tranquillità e certezze ai cittadini. Un’opera di questo genere darebbe tra l’altro lavoro immediato a tanti, dai ricercatori agli operai favorirebbe l’economia del Pese, darebbe risposte, pur parziali ad artigiani e piccole industrie. Il ritornello, o per dirla con il loro linguaggio, il refrain è il solito, non ci sono risorse da investire nella prevenzione e nella gestione oculata del territorio. Traduzione forse semplice, banale per noi comuni mortali che apparteniamo al mondo delle persone sempliciotte, che ci chiediamo: non si può investire, programmare per evitare che gli eventi accadano, e quando sono accaduti, la cronaca di questi giorni non ammette commenti, allora si devono necessariamente trovare le risorse per la “somma urgenza”, per l’emergenza, anche seguendo procedure che lo stato d’urgenza richiede. Si spendono risorse per tamponare la falla, ma il problema resta. In attesa del nuovo evento. Ora qualcuno potrà pensare. La descrizione fatta ci porta a un racconto kafkiano, surreale, non può essere quello che accade nel “belpaese”, in Italia. Sarà solo un racconto via. Non può assolutamente essere che un Paese civile, moderno, europeo, un Paese che vanta tanto dal punto di vista paesaggistico, ambientale. Un Paese che deve far riferimento a questi temi, a questi aspetti, far credere che questo Paese che deve vivere anche di turismo, ambiente, paesaggi, ebbene non tuteli i suoi luoghi (Pompei insegna), il suo territorio (la mappa dei disastri e dal Nord al Sud, isole comprese). Non può essere. Quello che mostra la cronaca è forse solo un reality. E’ mostrare quello che accade laddove ci s’improvvisa nella gestione della “res pubblica”, dove non c’è una cultura della prevenzione, della programmazione, dove non si riesce a vedere di là dal proprio naso! Adolescenti, giovani, ragazzi, ragazze, cittadini comuni a spalare. Giovani a ripulire anche i luoghi della cultura, oggi come ieri a Firenze, come sempre per quel che attiene al loro essere. Dovrebbero i rappresentanti politici dal centro fino alla periferia non fare passerelle e dire ritualità, ma rimboccarsi le maniche accanto ai cittadini, per “vivere in prima persona” una quotidianità che è lontana mille miglia da un certo modus vivendi, per capire, vedere, ascoltare, quello che accade, rendersi conto con i propri sensi di una realtà che richiede una forte presa di coscienza e di misure conseguenti.
Basta con la pletora e la moltiplicazione degli interventi legislativi, normativi, delle leggi, delle circolari e via discorrendo. Non è la quantità della produzione, ma la qualità da una parte, la semplificazione dall’altra e la certezza. Guardiamo umilmente ai Paesi che su questo possono essere un punto di riferimento.

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