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Aldo Bonomi, stimato osservatore del territorialismo italiano e cultore delle sue “resilienze”, nei “microcosmi” ospitati sul “Sole 24 ore” scrive di Matera –Capitale- della- Cultura e recita quasi a memoria la mappa delle “tracce e dei soggetti” della “città smart” che si porta dentro come calco di quella lontana esperienza materana vissuta fra ricerca antropologica e letteratura.
Città sfuggita alla metropolizzazione, felicemente “aliena”dai tratti della infrastrutturazione moderna, “sospesa come spazio” e perciò dimensione da cui partire”alla ricerca di una identità come Capitale-della-Cultura”, Matera evoca in lui l’eco di sonorità lontane ma anche l’impegno a raccogliere le sfide dell’ipermodernità. Viene cioè sollecitata a risalire dal fondo della sua estenuata identità contadina e ad entrare in una dimensione che “rovesci i paradigmi dell’antropologia familista nel pensiero radicale di Carlin Petrini e di Terra Madre” e investa perciò sull’intreccio fra “sviluppo locale, agricoltura famigliare e conservazione della biodiversità”. Un orizzonte postfordista suggestivo nel suo minimalismo esemplare difficile tuttavia da coniugare con il modello, che Bonomi richiama, capace di conciliare la soft economy ( cultura e affini ) e hard economy ( petrolio ed altre servitù materiali ). Se ne scrivo, conoscendo il valore di Bonomi e perché mi è sembrata meritevole di qualche approfondimento l’idea che egli segnala di una città-Capitale (etc.) che viene chiamata a coltivare la sua orgogliosa biodiversità e nello stesso tempo a frequentare le dinamiche di una modernità che avanza con le sue “connessioni” e con le sue fatali contaminazioni.
L’impressione è che “spazio e tempo meridiano”, categoria suggestiva che scandisce la velocità differita dello sviluppo in un territorio definito “speciale”, abbia bisogno di essere declinata fuori dalla metafora letteraria e svelata piuttosto come una sorprendente astuzia della storia : come riconoscimento di una diversità, di un biotopo civile, quindi un valore non sappiamo quanto sostenibile con le pretese di un tempo accelerato come il nostro.
Orbene, per il gran parlare che se ne fa, credo sia giunta l’ora di porre ordine nei tanti pensieri che hanno accompagnato e seguito la felice vicenda materana. E che sia giusto ritornare, come si dice, ai “fondamentali”. Perché uno degli errori che andrebbe assolutamente scongiurato è proseguire nel “Gran Tour” nella memoria estetico-sentimentale, nel liquido amniotico che impedisce ad una città vincente non solo di fare i conti con i debiti che essa ha con il suo passato ma di riscuotere i crediti che essa rivendica dal futuro. Un lavoro che non potrebbe che essere affidato ad un complesso di competenze, che sappia andare oltre la cornice comunicativa, pure efficace come si è visto, per aggredire i nodi veri delle relazioni che il “bene” che ha vinto “davvero” ( i Sassi, la città come natura e come storia ) deve stabilire con il valore aggiunto che verrà dalla sua riconosciuta e proclamata universalità. Un “promo” di assoluto valore che sarebbe delittuoso svilire. Fra le “Città invisibili” di Calvino ce n’è una, Zenobia, costruita su palafitte che evoca una delle metafore di Matera , città sospesa, seduta sulle sue viscere antiche che attende di proiettarsi oltre la sua condizione di città “incompiuta”. Il tempo è questo ormai. Un tempo nuovo che reclama uomini, risorse, competenze, trasparenze finora non sperimentati. Sopratutto all’altezza di un’avventura che non deve fallire.
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