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UNA mamma sente sempre il bisogno di aiutare un figlio. Soprattutto quando versa in condizioni di crisi profonda. Ho pensato questo quando si è iniziato a parlare di default del comune capoluogo e della richiesta di intervento da parte della Regione.
In fondo, un pò tutti ci aspettiamo questo aiuto. Eppure, c’è qualcosa che ancora non mi convince molto. E questo qualcosa ha a che fare con quel concetto di intervento statale che poco si addice a questa situazione.
Allora ho inziato a pensare e pensando, ho inziato a ricordare casi analoghi (o quasi).
Purtroppo, i soggetti che realmente risentono del dissesto di un ente sono i cittadini e i debitori. I cittadini si ritrovano a confrontarsi con tagli ai servizi, aumento delle aliquote nelle tassazioni, costi maggiorati per prestazioni sociali, assistenziali, comunali e altro. Insomma, devono pagare di tasca loro ciò che altri cittadini chiamati a governare non hanno saputo gestire in precedenza. E poi ci sono i debitori (non solo soggetti giuridici ma anche fisici), che non potranno mai riscuotere i crediti vantati sul Comune. In caso di bancarotta (privata) ai creditori tocca solo farsi un bel segno della croce e attendere fiduciosi per lungo tempo. Ma cosa può succedere se i creditori sono quelli di un Ente pubblico? Ed è qui che mi si è accesa la lampadina, ricordando due sentenze della corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Due sentenze di cui si è sentito poco parlare, in effetti, e che hanno obbligato lo Stato italiano a rispondere dei debiti di un comune verso due cittadini che, a causa della dichiarazione di dissesto, non hanno potuto ottenere il pagamento del credito. La storia è molto più lunga e complicata di queste due righe. Quello che mi preme di più è sottolineare che, seppure vi sia stata una riforma federalista che ha dato un’autonomia ai Comuni rendendoli enti autonomi, ancora c’è bisogno dell’intervento statale per risolvere guai e problemi che molte amministrazioni locali non riescono ad affrontare. In questo caso è la Regione che viene chiamata a colmare i buchi (se i numeri sono quelli indicati, si tratta anche di un passivo minimo rispetto a dissesti catastrofici che altri Comuni italiani hanno vissuto): mi sembra di essere tornata a trent’anni fa quando lo Stato elargiva aiuti senza alcun criterio. Parliamo di autonomie, di un’economia libera che possa aprirsi alle transizioni internazionali, di smart cities e comunità globali e poi ci aggrappiamo allo Stato “sociale”? Come accade nel privato, è giusto che anche nel pubblico ci sia una presa di coscienza e di responsabilità da parte dei singoli enti. Per far fronte a bilanci incomprensibili è necessario schierare menti che sappiano come valutare un passivo, come far fronte a spese smaniose, come tagliare il non necessario. Persone che siano al di fuori delle logiche locali.
Perchè alla fine non vorrei che, dietro questo nuovo assistenzialismo, ci siano solo logiche politiche. In questo caso, mettiamoci l’animo in pace: quello che copriremo oggi, sarà nuovamente scoperto domani.
ANDREINA S. ROMANO
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