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REGGIO CALABRIA – «Per un chilo di cocaina dovevamo consegnare 40 mila euro a chi ce la forniva, in tutto avevamo chiesto 4 chili ed entro un paio di mesi avremmo dovuto pagare 160 mila euro al nostro fornitore, pagammo tutto regolarmente». Sono le parole di un collaboratore di giustizia che ai magistrati della Dda di Reggio Calabria ha raccontato come si arriva ad inserirsi in un importante traffico di cocaina in Calabria.
Il pentito, che ha collaborato con gli inquirenti nell’inchiesta “Puerto Liberado” del pm Alessandra Cerreti ha riferito di accordi e strategie economiche per piazzare la droga sul mercato, droga che puntualmente sbarcava e sbarca a Gioia Tauro. Ma per comprendere l’importanza delle rivelazioni del collaboratore di giustizia è necessario arrivare in fondo ai suoi racconti, quanto cioè riferisce ai magistrati della proposta di uno degli uomini che più erano inseriti nel traffico internazionale di droga di acquistare direttamente la cocaina alla fonte, cioè in Sud America, e non in Calabria.
E’ qui che si capisce quanto margine di guadagno di ci sia per i trafficanti nel fare arrivare in Europa tonnellate di polvere bianca. «Noi saldammo regolarmente i 160 mila euro per i 4 chili – racconta il pentito – poi un giorno mi chiamarono e mi chiesero se avessi voluto investire con loro nel giro direttamente dal Perù o dal Sud America, insomma se volevo mettere i soldi per avere la cocaina che mi sarebbe costata 5 mila euro al chilo». Dunque una rivelazione che consente di individuare in maniera molto precisa quello che può essere il ricavo di una organizzazione per ogni chilo di polvere bianca rivenduto in Europa con un prezzo alla fonte di 5 mila euro al chilo e con un prezzo, una volta che la cocaina è arrivata sulle coste italiane, che varia dai 35 mila ai 40 mila euro al chilo. Un ricarico che tiene conto del rischio e del trasporto ma che, se le cose vanno lisce, supera il 400% per un prodotto illegale che ad oggi continua ad essere richiestissimo in tutto il mondo.
Ma il collaboratore, spiegando ai magistrati il modus operandi degli uomini che gestiscono il traffico di droga, racconta anche di come chi acquista la cocaina a 40 mila euro al chilo, da un chilo di coca, tagliandola, riesca a ricavarne anche 2 chili riuscendo ad ammortizzare le spese e aumentare i ricavi. «Noi avevamo chiesto 4 chili – ribadisce il pentito – ma alla fine con il taglio, anche con il bicarbonato, ce ne uscirono 5 e riuscimmo a guadagnare discretamente». Quella che il collaboratore racconta ai pm e agli investigatori è una vera lezione di come dallo sbarco della droga a Gioia Tauro si arrivi a immettere la sostanza stupefacente sul mercato con ricavi da capogiro e quasi sempre immediati. Naturalmente ci sono i rischi, c’è il rischio che il carico venga intercettato e sequestrato dalle forze dell’ordine e che quindi vadano in fumo decine di migliaia di euro, ma, per i numeri che fornisce il pentito, è sufficiente che un carico importante vada a buon fine per rientrare dei soldi persi con il sequestro e guadagnare abbastanza per reinvestire nelle rotte Sudamericane.
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