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«SI tratta di dati che potevano, tutti, essere conosciuti dai cittadini; anzi, i cittadini avrebbero dovuto essere informati al riguardo, sol che i politicanti e le istituzioni della Basilicata fossero stati attenti, scrupolosi e previdenti; ma queste qualità sono un po’ come le foglie di alloro del Poeta: “(…) rade volte (…) se ne coglie”».
C’è anche una sferzata a politica e amministrazione lucana nel ricorso presentato in Cassazione da Giuseppe Di Bello, il tenente della polizia provinciale condannato a 3 mesi di reclusione (con la pena sospesa) per rivelazione di segreto istruttorio, per aver “girato” un’informativa con i dati sull’invaso del Pertusillo al segretario dei Radicali lucani Maurizio Bolognetti a gennaio del 2010.
«La notizia di reato trasmessa, il giorno 7 gennaio 2010, dall’imputato a Bolognetti era costituita semplicemente dai dati disponibili già in capo all’Arpab (Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Basilicata,ndr): dunque, non soltanto conoscibili da ogni cittadino, bensì rientranti addirittura nel novero di quelle informazioni che la pubblica amministrazione deve offrire agli amministrati».
Lo sostiene l’avvocato Ivan Russo, che assiste Di Bello nella sua battaglia e aveva anticipato i temi raccolti dal collegio del Tribunale nelle motivazioni dell’assoluzione di Bolognetti.
«Essendo la facoltà di accesso alle notizie ambientali conferita a ogni cittadino, Bolognetti aveva diritto, in quanto tale, a conoscere i dati dell’Arpab correlativi al Pertusillo e agli altri invasi di cui si discute». Insiste il legale. «Ci si riferisce ai dati trasmessi da casa Di Bello il giorno 7 gennaio 2010».
In altri termini, quella che i giudici di primo e secondo grado hanno considerato un’informativa di reato indirizzata alla Procura della Repubblica, che per questo doveva restare coperta da segreto, non avrebbe contenuto altro che «notizie e informazioni che, insieme con l’essenza della comunicazione (ossia i dati delle analisi: vero “in sé” della notizia riferita), erano addirittura già di dominio dell’Arpab, dunque dell’autorità amministrativa: di guisa che ogni cittadino aveva diritto a conoscerle».
L’avvocato evidenzia anche che «in materia di tutela dell’ambiente, occorre mediare le esigenze di riservatezza e del segreto con quelle, di natura pubblica, concernenti l’ambiente e la salute. In altre parole, ritornando alla nostra legislazione, il diniego di accesso alle informazioni in materia è opponibile solo quando la divulgazione di dati e notizie leda concretamente» le indagini in corso.
Cosa che in questo caso forse non sarebbe nemmeno potuta avvenire, essendo i dati già di dominio pubblico.
l.amato@luedi.it
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