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POTENZA – Sequestri per quattro milioni di euro, 65 indagati e sigilli a quattro aziende agricole per un traffico organizzato di bistecche di meticci spacciate per fiorentine doc.

E’ il bilancio dell’operazione partita da Perugia che ieri ha visto impegnati oltre 300 carabinieri dei Nas e dell’Arma territoriale in tutta Italia, inclusa la Basilicata.

L’accusa è di aver messo in piedi un’associazione a delinquere finalizzata alla commercializzazione per la successiva macellazione di bovini infetti e con marche auricolari contraffatte.

I provvedimenti, eseguiti in Umbria, Toscana, Lazio, Campania, Puglia, Lombardia, Abruzzo, Marche, Basilicata, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte, sono stati emessi al termine di un’inchiesta partita 3 anni fa nel capoluogo umbro.

L’indagine, soprannominata “Lio”, era iniziata dopo che in quattro allevamenti umbri si erano sviluppati altrettanti focolai di infezioni. Da lì i militari scoprirono l’esistenza di un’organizzazione che spacciava per carne chianina, capi che in realtà non lo erano realizzando guadagni da capogiro: basti pensare che un bovino adulto di razza doc costa quasi tre volte quanto un meticcio.

Gli animali arrivavano dalla Sardegna, dalla Puglia, dal Lazio o dalla Basilicata e attraverso delle contraffazioni venivano fatti risultare come nati in Umbria o Toscana, regioni in cui essendoci stati meno focolai di infezioni tra i bovini, il commercio è soggetto a procedure meno rigide. Poi venivano avviati alla macellazione grazie all’intermediazione di due aziende, una perugina e una aretina, nonché di allevatori e medici veterinari che riuscivano a fare eludere i controlli sanitari facendo apparire sani i bovini, anche se erano colpiti da malattie infettive. In qualche caso anche trasmissibili all’uomo.

 Per questo all’epoca vennero sequestrate 4 aziende agricole e 500 bovini vivi, che sono stati abbattuti e distrutti, per un valore commerciale di due milioni e mezzo di euro.

Nel giro sarebbero stati coinvolti a vario titolo 56 allevatori, tre autotrasportatori e sei medici veterinari delle Asl del centro-sud (Perugia, Arezzo, L’Aquila, Foggia, Potenza e Matera), dediti alla falsificazione di passaporti e marche auricolari che permettevano di introdurre sul mercato bovini di razza ed età diverse da quelle certificate dai documenti.

Di qui il blitz di ieri mattina col sequestro di allevamenti di bovini vivi per un valore stimato di circa 2 milioni di euro e oltre cento capi in tutto.

Durante la conferenza stampa che si è tenuta a Perugia ieri mattina il capitano Marco Vetrulli, del Nucleo Anti Sofisticazione del capoluogo umbro, ha spiegato che al vertice ci sarebbero stati sempre i due “intermediari” già coinvolti nella prima tranche dell’inchiesta, un allevatore perugino e un collega aretino.

In più ha evidenziato che i sequestri di ieri mattina non hanno riguardato carni infette, ma solo bovini con certificazioni non idonee, aggiundendo che comunque, anche nel caso di carne infetta come quella dei 500 capi sequestrati e abbattuti nel 2011, non c’era pericolo di trasmissione delle malattie di cui erano affette le bestie – come tubercolosi o brucellosi o blue tongue – dato che vengono abbattute con la cottura. Ad ogni modo «nessuna fetta di carne infetta è comunque arrivata nel piatto di qualche consumatore», dato che il loro commercio è stato «bloccato» per tempo dai militari.

Il giro di contraffazione di bovini meticci fatti diventare magicamente chianina, preso di mira dal pm Massimo Casucci, sarebbe stato ingente. Per questo sono stati iscritte nel registro degli indagati in totale 65 persone, tra allevatori, autotrasportatori e veterinari compiacenti che redigevano certificazioni false per attestare la provenienza chianina della carne.

 

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