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Una sola direzione regionale dei Beni culturali per Basilicata e Puglia (così come per Abruzzo e Molise; Liguria e Piemonte; Marche e Umbria). Soprintendenze accorpate. Manager alla guida dei poli museali strategici.  Il Ministero della cultura sembra davvero deciso, stavolta, a cambiare pelle.  All’indomani della presentazione del decreto che porta il suo nome, il ministro Dario Franceschini ostenta sicurezza: “Il pacchetto di riforme consegnato al Parlamento è quello che il Paese si aspettava da almeno venti anni”. Giuliano Volpe, presidente del Consiglio superiore  per i beni culturali e paesaggistici del Ministero, si spinge oltre: “Il nuovo progetto di sviluppo dell’Italia passa per la cultura. Grazie al rilancio della nostra azione in questo campo torneremo a essere un punto di riferimento internazionale. Già nel prossimo semestre europeo a guida italiana imporremo la nostra leadership nel continente in materia di politiche dei Beni culturali”.

Le ragioni di tanto ottimismo sono presto dette. Sulla cultura, se va in porto il piano finanziario previsto, con una buona dose di ottimismo, dal decreto varato dal Governo la settimana scorsa (e appena pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale), cadrà una pioggia di denaro: circa 500 milioni. Tutto grazie a una serie di provvedimenti che puntano a promuovere una figura che in Italia – se si eccettuano alcune benemerite fondazioni e qualche importante gruppo privato -, non è diffusa come nel resto dell’Occidente sviluppato: quella del mecenate. Ed ecco il varo di incentivi come, per citare il più noto,  l’Art Bonus: che prevede crediti d’imposta fino al 65 per cento, nei prossimi due anni, per chi investe nel settore o interviene a sostegno di musei, siti archeologici, archivi, biblioteche, teatri… E poi le misure per rilanciare il turismo: con gli sconti fiscali volti a favorire la digitalizzazione del comparto. E ancora: il tax credit per le produzioni audiovisive; i fondi per la lirica; gli incentivi per l’assunzione di giovani; l’eliminazione del divieto di fotografia; le risorse per le attività culturali nelle periferie urbane; la trasformazione in soprintendenze autonome di alcune realtà “ad alta rilevanza culturale”; l’introduzione dei manager nei musei; le norme per ridefinire la figura delle guide turistiche…

Una rivoluzione, certo. Ma si sa come vanno le rivoluzioni in Italia. Tant’è che è lo stesso Ministero a precisare che la trasformazione dei Beni culturali passa necessariamente per una riorganizzazione del Ministero e dei suoi uffici. Detto in poche parole, si tratta di fare prima i conti con la burocrazia.“In questi ultimi 40 anni – ricorda infattiVolpe – il Ministero si è trasformato da organismo tecnico-scientifico  a struttura burocratico-amministrativa.

Occorre restituirgli la fisionomia delle origini, trasformarlo in uno strumento agile con un centro capace di dare indirizzi, di controllare, di monitorare e valutare tutta l’azione svolta sul territorio nazionale: non ci possono essere varie politiche dei Beni culturali per ogni regione, ma ci deve essere un indrizzo generale e poi una periferia molto articolata e robusta, con più competenze tecnico scientifiche disponibili nelle sue articolazioni. Si tratta di superare l’eccesso di frammentazione e sovrapposizione di competenze tra Direzioni generali e Soprintendenze, ma non voglio dire di più…Il dibattito è aperto”.

Il problema, come si vede, è lo stesso che turba i sonni del presidente del Consiglio (che sulla riforma della pubblica amministrazione si gioca la vera partita  del suo governo). E Renzi, ispiratore  del decreto Franceschini, non fa nulla per nascondere la sua insofferenza nei confronti di coloro che hanno la responsabilità dei poli museali italiani (leggi: i soprintendenti): visti, non sempre a ragione, come i simboli, è il caso di dire, della conservazione in un settore che avrebbe bisogno, al contrario, di rilanciarsi aprendosi al mercato e all’innovazione tecnologica.

Ed ecco la decisione di accorpare le soprintendenze su base tematica, oppure dar vita a soprintendemze miste (tenendo insieme archeologia, paesaggio, beni storico-artistici e architettura); e di ridurre il numero delle direzioni regionali unificando le più piccole, tra loro confinanti (la Basilicata con la Puglia; il Molise con l’Abruzzo). Niente interventi, invece, sul personale che ha già subito tagli consistenti dal 2008 a oggi: oltre il 30 per cento in meno.

Mentre, secondo le ultime indiscrezioni gli uffici dirigenziali passerebbero da 28 a 24, si darebbe vita a un ufficio di direzione generale  per la pianificazione  degli obiettivi del programma e a un omologo ufficio per la direzione generale del turismo. Tra le novità più rilevanti della riorganizzazione dei Beni culturali ci sarebbe infine l’abolizione della Direzione generale Antichità che sarebbe unificata con quella che ha attualmente le competenze per il paesaggio, le belle arti, l’architettura e l’arte contemporanea. Al suo posto si prevede il varo di una sola direzione per il paesaggio e il patrimonio storico artistico. L’ufficio dirigenziale che si occupava di spettacolo si chiamerà invece Direzione generale per il contemporaneo, lo spettacolo e il patrimonio immateriale, includendo dunque anche audivisivi e produzioni web.

a.grassi@luedi.it

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