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«BASTA a questa “democrazia nera” come il petrolio. I cittadini devono tornare ad essere sovrani; gli interessi economici non possono monetizzare il diritto alla salute ed a vivere nella propria terra».

Lo sostengono le 50 sigle, riunite sotto il cartello Liberi lucani in libera Basilicata, che hanno firmato il manifesto della protesta che si terrà domani alle 11 a Potenza di fronte alla Regione, in via Verrastro, in occasione dell’incontro sull’aumento delle estrazioni di petrolio e gas in Basilicata tra il presidente della giunta Marcello Pittella e il ministro allo Sviluppo economico Federica Guidi .

LE RIVENDICAZIONI

Sette i punti al centro delle loro rivendicazioni: dal «riconoscimento e tutela dell’identità agricola e turistica della regione», alla «messa in sicurezza contro la possibile sismicità innescata» dalle estrazioni e «il fenomeno della subsidenza». Passando per «la perimetrazione e la tutela delle aree di salvaguardia delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano», la «partecipazione delle popolazioni nei processi decisionali» e «nell’elaborazione di piani e programmi in materia ambientale», l’accesso «alla giustizia e all’informazione in materia ambientale», «un sistema di monitoraggio ambientale integrato e continuo di tutte le matrici ambientali», l’obbligo di «un’adeguata e tempestiva pubblicizzazione di tutti i dati sui siti istituzionali» e l’«impegno ad applicare il principio di precauzione» e quello per cui «chi inquina paga».

LA CRITICA A PITTELLA

Le associazione criticano la piattaforma che il govenatore intende sottoporre al ministro denunciando «un modello privatistico di gestione del welfare lucano, dipendente appieno dal petrolio», per cui «l’università, pezzi di sanità e di servizi di manutenzione attestano la funzione sostitutiva della gestione del patrimonio energetico».

«È questo il virtuoso esercizio di tutela del territorio di cui si parla?» Prosegue il loro manifesto. «Dove saranno “lavati” tutti i reflui derivanti dal raddoppio delle estrazioni? Il loro smaltimento è da ritenersi sostenibile, considerando la compromissione delle matrici ambientali già abbondantemente in atto, anche in quella Valbasento diventata destinataria degli scarti derivanti dalle estrazioni? Ecco perché, mentre proseguono le indagini dell’antimafia sull’operato dei vertici di Eni, Confindustria, Tecnoparco, è diventato sempre più difficile poter nominare la parola “inquinamento” legata al ciclo dello smaltimento reflui estrattivi (ad oggi sono ben 5 i giornalisti e gli ambientalisti formalmente diffidati a rispondere di tale reato e minacciati di pagare in solido cifre stratosferiche). Chi ci amministra non può continuare a ragionare nell’ottica delle royalty».

AMBIENTE E TITOLO V

Gli ambientalisti evidenziano varie problematiche emerse in Basilicata sul tema del petrolio e dell’ambiente più in generale («Ad oggi non abbiamo una mappa credibile dell’incidenza effettiva su acqua, suolo, aria, di circa vent’anni di attività estrattive; il registro tumori è fermo al 2007 e ci si avvale di dati comparati e del lavoro empirico svolto da medici di base sul territorio. La pubblicazione delle analisi dell’acqua al rubinetto dei privati, in numerosi paesi, e di terreni non più destinabili al ciclo alimentare ha creato soltanto depistaggi e criminalizzazione, mai un confronto serio e credibile»).

Ma non risparmiano critiche nemmeno ai progetti di riforma del Titolo V della Costituzione («Il Governo Renzi tenta ora di far rientrare dalla finestra quello che si era voluto far uscire dalla porta: infatti, il Disegno di Legge costituzionale prevede di affidare al Parlamento la competenza ad intervenire pienamente in materia di ordinamento locale. Ciò significa ridurre di molto l’autonomia costituzionale degli Enti locali, fino a giungere a vanificarla del tutto»). Quindi evidenziano come «l’obiettivo perseguito dal Governo sia quello di dare il via libera alla realizzazione delle cosiddette “grandi opere”, a partire da quelle più controverse e contestate, soprattutto dalle collettività locali. Si pensi al Muos in Sicilia, così come al trasporto ad alta velocità; ai mega impianti del solare termodinamico; alla selva di parchi eolici; alle concessioni petrolifere o agli stoccaggi di gas».

L’INFORMAZIONE E I TERREMOTI

Poi c’è la questione l’informazione dato che «non solo le popolazioni locali stanno subendo un ulteriore attacco ai livelli minimi di partecipazione e controllo democratico dal basso, attraverso un processo di vera e propria espropriazione costituzionale, ma la centralizzazione di stampo autoritario in atto si fa garante degli interessi dei grandi monopoli, nascondendo all’opinione pubblica informazioni vitali utili alla salvaguardia della salute e della vita stessa!» 

«Pur di salvaguardare gli equilibri politici ed economici delle lobby degli idrocarburi si esercitano forti pressioni per non far pubblicare un articolo e per screditare l’operato degli scienziati». Sostengono i 50 sottoscrittori del manifesto contro «la filiera della morte», che citano il caso della giornalista che per prima ha rivelato l’esistenza del Rapporto del gruppo di esperti (Commissione Internazionale Ichese) sul possibile nesso tra le attività estrattive negli impianti di Cavone (Modena) ed i terremoti di Maggio 2012 in Emilia Romagna.

Gli ambientalisti sostengono che «se sono bastate polemiche generate dalle conclusioni del Rapporto Ichese perché la Regione Emilia Romagna dichiarasse di voler sospendere ogni nuova autorizzazione alla ricerca di idrocarburi e la Regione Lombardia sospendesse ulteriori autorizzazioni per lo stoccaggio di gas, è arrivato il momento di pretendere che il Ministero dello Sviluppo Economico revochi anche i permessi a trivellare già concessi, quantomeno in applicazione del principio di precauzione».

Per questo fanno appello anche agli studiosi «prigionieri e ostaggi (…) del “modello unico” neoliberista» che «potrebbero passare al servizio del bene comune».

I COSTI E LA TERRA DEI FUOCHI

«Quanto costa il petrolio ai Lucani, ai Campani ed ai Pugliesi che bevono e coltivano con le nostre acque?» Si chiedono ancora le sigle della protesta contro le trivelle.  «Leggi europee ed internazionali monetizzano le conseguenze ambientali delle attività più impattanti, mentre in Basilicata assistiamo al più totale scempio. Mentre grandi quantitativi d’acqua dolce vengono utilizzati per estrarre petrolio, nessuno sa quanto l’acqua venga pagata e dove venga attinta; mentre una marea di rifiuti speciali viene prodotta dalle estrazioni petrolifere, a nessuno è dato conoscerne la reale composizione ed il relativo ciclo di smaltimento (dal 2001 la Regione autorizza la reiniezione di 3.500 tonnellate di acque di strato e di fanghi di lavorazione in Costa Molina senza esercitare il diritto alla trasparenza); mentre il monitoraggio ambientale è palesemente incompleto e non imparziale. Si va al raddoppio del Centro Oli di Viggiano,  al nuovo Centro Oli a Tempa Rossa, al raddoppio delle quantità da raffinare a Taranto, mentre la disoccupazione, la precarietà ed il clientelismo ottundono e corrompono le coscienze».

«Nell’epoca in cui si moltiplicano i conflitti per l’acqua, nell’epoca dell’idroimperialismo» i “Lucani liberi” annunciano che «con ostinazione» intendono battesi «per il valore d’uso, per la tutela dei beni comuni e per la transizione verso un modello decentrato e partecipato di produzione energetica non alienata; vogliamo farlo per mezzo dell’intensificazione della ricerca, degli investimenti in rinnovabili pulite sostenibili, perché la Basilicata non è in vendita! Come potranno l’agricoltura ed il turismo sopravvivere dinanzi ad una nuova Terra dei Fuochi come la Basilicata?»

PARTECIPAZIONE

Tornando infine al tema della partecipazione il manifesto si domanda se «subire quotidianamente decisioni verticistiche, che incidono ed incideranno direttamente sulla vita dei lucani di oggi e domani, è democrazia?» Quindi ricorda che «le risorse energetiche e le conseguenze ambientali e sanitarie del loro sfruttamento vanno decise con gli abitanti dei territori interessati: la vita di mezzo milione di persone, la storia di una terra, la strategicità delle riserve idriche lucane che abbeverano mezza Puglia, possono valere il 10% della produzione nazionale petrolifera?»

GLI ALTRI FRONTI APERTI

Non c’è solo la Val d’Agri in questa battaglia. «Da Fenice-EDF a San Nicola di Melfi fino al caso Teknosolar di Palazzo S. Gervasio; da Tecnoparco al Centro Oli di Viggiano; dall’ItalCementi a Tempa Rossa; dalla Sider di Potenza sino all’Itrec-Enea di Trisaia: la sostenibilità ambientale in Basilicata è finita da tempo». Concludono le sigle della protesta. «Chi bonificherà lo scempio lasciato dalle multinazionali? Sopravvivremo alla marea di rifiuti che ci stanno lasciando in pancia? Ci stanno dicendo tutta la verità sull’inquinamento e sulle ripercussioni sanitarie?»

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