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PALMI – «Vogliamo vera giustizia», «chiediamo aiuto a tutte le autorità». Sono questi gli slogan scritti su alcuni cartelloni mostrati stamane da un gruppo di donne che hanno inscenato una protesta contro la sentenza emessa ieri dai giudici del Tribunale di Palmi nell’ambito del processo “Califfo”, che ha portato a pene complessive per oltre 150 anni.
A contestare sono mogli e figlie di alcuni degli imputati condannati perché ritenuti affiliati di prim’ordine alla cosca Pesce di Rosarno. Il sit-in di protesta è andato in scena nella piazza antistante il tribunale palmese. Le donne si sono incatenate, mostrando i cartelli ed esibendo una lettera in cui viene aspramente criticata l’inchiesta svolta dalla Dda di Reggio Calabria. «Siamo qui per protestare contro le ingiuste sentenze inflitte contro i nostri familiari – si legge nella missiva – accusati e condannati per un banale biglietto ritrovato nel carcere di Palmi con su scritto nomi di persone innocenti».
Il biglietto cui fanno riferimento le donne è il pizzino sequestrato al boss Francesco Pesce pochi giorni dopo il suo arresto avvenuto nell’agosto del 2011. Un pizzino che secondo gli inquirenti il boss avrebbe cercato di far arrivare all’esterno con l’intento di raggiungere i suoi presunti sodali e garantire il proseguo delle attività illecite della cosca. I sei nomi scritti sul biglietto, che per i magistrati sarebbero quelli dei collaboratori più stretti del boss, sarebbero invece, secondo l’interpretazione data dalle nove donne in protesta, quelli di «persone innocenti che da un momento all’altro si sono ritrovate, senza saperne neppure il motivo, catapultate in questa vicenda».
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La missiva critica anche l’interpretazione data dai magistrati alla frase “fiore per mio fratello”, considerata un passaggio di testimone da Francesco Pesce al germano Giuseppe (condannato a 18 anni di reclusione): «la Procura non ha svolto indagini dettagliate – scrivono le donne – più volte anche i nostri avvocati hanno cercato di dimostrare che la predetta interpretazione poteva non essere quella esatta e far capire ai giudici che il termine “fiore” può avere svariati significati, come ad esempio inteso come “denaro” o come nome proprio di persona». Secondo l’accusa invece, la frase sarebbe scritta in puro codice mafioso e rappresenterebbe l’investitura di Ciccio Pesce nei confronti del fratello Giuseppe. Le donne hanno chiesto la revisione del processo, «affinché venga fatta vera giustizia per una giusta sentenza basata su veri reati e prove concrete», nei confronti di «padri di famiglia e figli innocenti che hanno sempre vissuto di lavoro onesto».
La protesta è stata del tutto pacifica e si è svolta sotto l’occhio attento delle forze dell’ordine.
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