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POTENZA – «Cossidente mi disse che Antonio Cleopazzo era un suo uomo, per questo sono andato a rettificare la denuncia dicendo che ero stato aggredito fuori dal locale. Così poteva restare aperto dato che loro si occupavano della sicurezza. Ma lui, non so come, lo venne a sapere. E a quel punto l’ho ritirata del tutto».

E’ durato circa un’ora ieri mattina l’interrogatorio di Roberto Galante nel processo sui rapporti tra il clan Cossidente e la politica, in cui figura tra gli imputati per concorso esterno in associazione mafiosaq assieme all’ex vicepresidente della giunta regionale Agatino Mancusi, l’ex consigliere regionale Luigi Scaglione e l’ex assessore del capoluogo Rocco Lepore.

Incalzato dal gup Tiziana Petrocelli, dal pm Francesco Basentini e dal suo legale, l’avvocato Alessandro Singetta, , coordinatore dell’ufficio tecnico del Don Uva, ed ex re delle preferenze del capoluogo, ha respinto con forza tutte le accuse.

«Ho conosciuto Cossidente soltanto per le denunce che ho fatto a quello che lui mi indicò come un suo uomo, Cleopazzo Antonio». Queste sono state le dichiarazioni dell’ex consigliere comunale a proposito dei rapporti col boss pentito della calciopoli rossoblu e del duplice omicidio Gianfredi.

Rispetto ai suoi rapporti con Franco Rufrano, condannato in primo grado a 11 anni per associazione mafiosa, Galante ha parlato di una conoscenza risalente alla loro adolescenza, dato che hanno entrambi pressappoco la stessa età e vivevano poco distante l’uno dall’altro. Ma ha negato di aver avuto a che fare con l’assegnazione alla sua ditta di alcuni lavori di giardinaggio al Don Uva, nel 2006. «I nomi delle ditte che hanno inviato un preventivo non mi dicevano nulla. Non sapevo che dietro una di loro ci fosse Rufrano, e comunque non sono stato io a decidere a chi affidare il lavoro. C’è un comitato di gestione che se ne occupa». Idem per l’assunzione di Vito Riviezzi, figlio del pignolese Saverio (e figlioccio dello stesso Cossidente), che è considerato il capo del clan dei pignolesi, da parte di un’impresa che si occupava di pulizia e manutenzione degli impianti della casa di cura. «Non so chi sia questo Riviezzi. Mi si sta dipingendo come il dominus del Don Uva ma non è così». Un’affermazione a cui è seguita una raffica di domande del pm sui parenti di Galante che si trovano a lavorare lì.

L’ex consigliere comunale ha contraddetto Cossidente che ai magistrati ha raccontato di aver incontrato in maniera riservata alcune persone in «un locale deposito-officina» all’interno della struttura sanitaria che lui gli aveva messo a disposizione («Non ne so niente. Se è successo davvero andrebbe chiesto a chi sta all’ingresso e registra tutte le entrate e le uscite»). Poi ha riepilogato le competizioni elettorali che l’hanno visto coinvolto smentendo di  ricevuto «appoggio elettorale» in cambio dei suoi favori al clan.

Quanto, infine alla «protezione personale», che assieme ai voti gli avrebbero garantito Cossidente e i suoi ex basilischi, Galante ha ricordato tutte le aggressioni subite e le denunce fatte. Fino all’aggressione subita in un locale di Potenza, nel 2007, per cui avrebbe ritirato la querela su “invito” proprio dell’ex boss. «Avevo già denunciato Cleopazzo quando è intervenuto Cossidente. Ero andato anche in Questura a denunciare infatti durante alcuni comizi ho avuto la tutela. Poi però non è successo niente e uno che cosa deve fare quando la giustizia non interviene? Lui mi aveva chiesto di ritirare le querele e io l’ho fatto. Avevo paura di lui e l’ho avuta fino a quando non ho saputo delle sue accuse contro di me e l’ho denunciato».

Intanto erano già passati 3 anni.

l.amato@luedi.it

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