ROMA – La storia della nave dei veleni affondata al largo della costa calabrese nata a seguito delle rivelazioni del collaboratore di giustizia Francesco Fonti e che sembrava sopita dopo che il governo aveva identificato il relitto in fondo al mare con il piroscafo Catania e non con la nave Cunski sembra riaccendersi. Gli atti della commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, a quel tempo presieduta da Gaetano Pecorella, da poco desecretati, infatti, hanno consentito, infatti,di scoprire come il procuratore di Paola dell’epoca, Bruno Giordano, dichiarò alla commissione che secondo quanto appurato ci sarebbero stati anche due possibili cadaveri, visibili attraverso un oblò, a bordo del “relitto di Cetraro”che si trova a 483 metri di profondità. La rivelazione, che risale al settembre del 2009, riguarda gli approfondimenti successivi al video di esplorazione girato dalla Nautilus a bordo del relitto che il procuratore ha identificato come la nave Cunski, fatto che, come detto, in seguito smentito dal governo che invece lo identificò come quello della nave passeggeri Catania, affondata nel 1917 per un atto di guerra.
Negli atti della Commissione di inchiesta si legge come GIordnao ritenga che «la cosa più inquietante è che attraverso uno degli oblò sembrerebbero visibili come due forme fisioniomiche umane. Non vorrei dire due teschi, ma sembra proprio due volti in aderenza all’oblò». Ovviamente il procuratore in sede di audizione affermò di non sapere se quelle due figure potessero appartenere a membri dell’equipaggio aggiungendo che, qualora si fosse tratta di cadaveri, «nulla è più facile che si sia fatto un business e due servizi, cioè che molto sbrigativamente si sia anche eliminato qualcuno che evidentemente doveva sparire».
Ma Le dichiarazioni di Giordano appaiono interessanti anche con riferimento alla possibile presenza a bordo del relitto di fusci di rifiuti tossici, il magistrato, infatti, affermò che «sono chiaramente visibili» accanto allo squarcio di prua, prodotto da un’esplosione dall’interno verso l’esterno, «”due bidoni, entrambi compressi dalla colonna d’acqua soprastante e sembrerebbe esserci un grosso rinforzo su uno dei bordi, quello superiore, che potrebbe essere il tipo di chiusura utilizzata abitualmente per il trasporto in questo tipo di contenitori di rifiuti speciali».
Il pentito Fonti, nel frattempo deceduto, nelle sue dichiarazioni parlò di 120 bidoni nella nave da lui affondata e il pm in alla commissione spiegò che per gli altri 118 «ancora non abbiamo la certezza che siano dentro la stiva, perchè è coperta di melma; tuttavia la stiva sembrerebbe essere parzialmente piena». Inoltre, uno degli elementi che deporrebbe a favore dell’identificazione del relitto come quello del Cunski, e non del Catania, è la tecnica costruttiva: Giordano testimonia che secondo le immagini del robot usato per l’ispezione, della società Nautilus, la nave è costruita con lamiere saldate, e non imbullonate come si usava ai primi del ‘900; inoltre, le dimensioni sembrano coincidere: dalla rilevazione sonar è tra i 110 e i 120 metri di lunghezza, 20 di larghezza e dieci di bordo libero, dimensioni che sarebbero molto vicine a quelle del Cunski.