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REGGIO CALABRIA – C’è la copertura alla latitanza dell’ex deputato di Forza Italia, Amedeo Matacena, dietro all’arresto dell’esponente di Forza Italia, già ministro dell’Interno e presidente del Copasir, Claudio Scajola (LEGGI). Secondo l’accusa formulata dalla Direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria, il politico ligure avrebbe offerto sostegno al collega calabrese che cercava di trasferirsi in Libano.
Imprenditore, figlio dell’omonimo armatore noto per avere dato inizio al traghettamento nello Stretto di Messina, Matacena è stato deputato per due legislature, tra il 1994 e il 2001, con Forza Italia. Quando, a giugno scorso, i carabinieri sono andati a casa a notificargli l’ordine di arresto, Matacena non c’era più. Formalmente la sua residenza è a Montecarlo ma ha sempre vissuto in Italia. Tuttavia non lo hanno trovato nè a Reggio, nè Roma (dove vive la famiglia) nè nel Principato di Monaco. Sparito per non finire in carcere per scontare una condanna per concorso esterno in associazione mafiosa.
Al momento Matacena, nonostante la condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, vive da uomo libero negli Emirati Arabi. Il giudice di Dubai ha sciolto infatti la riserva sulla sua posizione accogliendo l’istanza presentata dai difensori Antonio Verdirame e Enzo Caccavaro. Il 15 settembre scorso aveva respinto l’istanza di scarcerazione a seguito del pagamento di una cauzione ma si era riservato di decidere se Matacena dovesse rimanere in carcere negli Emirati Arabi Uniti in attesa di estradizione in Italia, oppure se potesse restare da uomo libero nel paese arabo dove la legislazione locale non riconosce il reato di mafia. E alla fine la decisione è caduta sulla seconda “opzione”.
Matacena era stato arrestato a Dubai il 28 agosto quando era atterrato in aeroporto proveniente dalle Seychelles. Uno spostamento fatale per l’ex deputato. Da allora era rinchiuso in carcere in attesa della decisione definitiva dei giudici arabi. Era ricercato da giugno, quando sfuggì alla notifica del provvedimento di carcerazione una volta resa definitiva la condanna a 5 anni e 4 mesi di reclusione, e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici,.
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